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Dalla Conferenza di Alma Ata (1978) agli accordi del WTO del 2000

Conferenza di Alma Ata (1978): primo tentativo di redazione di concetti importanti:
1. la salute come diritto umano fondamentale (= la salute per tutti)
2. si sottolinea l’esistenza di diversità nell’accesso ai servizi sanitari
3. viene ribadita la responsabilità dei governi in campo della sanità
4. appare il concetto di assistenza sanitaria primaria = forme assistenziali basate su tecnologie e metodi scientifici validi, attraverso un processo di collaborazione con il popolo, con costi sostenibili, quasi in un processo di autodeterminazione.
L’assistenza sanitaria primaria deve riflettere e sviluppare condizioni socio-sanitarie e politiche di un paese o di una comunità e ha a che fare con elementi, quali:
educazione
alimentazione corretta
accesso garantito alle risorse
immunizzazione (= vaccini)
condizioni igienico-sanitarie adeguate
autonomia e partecipazione degli individui
5. al concetto precedente si collega quello di sistema sanitario nazionale, ossia la predisposizione di misure adeguate, grazie all’opera di 3 attori: gli Stati, le strutture medico-sanitarie e l’utenza finale (= i cittadini)
Oggi, invece, si tende a parlare di apartheid della salute = esistenza di disuguaglianze sanitarie non necessarie né inevitabili, per cui chi non è ricco si vede precluso l’accesso alle cure sanitarie.

effetti devastanti nel Terzo Mondo
introduzione dei ticket, per cui il servizio medico non è più garantito, a parte alcune fasce di protezione
Le soluzioni a questo circolo vizioso sarebbero molteplici:
rafforzare i servizi sanitari pubblici
trovare un nuovo metodo per le tasse sanitarie
rafforzare il ruolo regolatore dello stato
trovare fonti di finanziamento a livello internazionale → la spesa sanitaria è comunque un peso gravoso sul budget statale
In questi anni, l’OCSE mostra al mondo il suo dinamismo, diventando, però, un organismo “scomodo” per molti stati, i quali, nel 1988, mettono in atto una controffensiva, eleggendo un presidente meno “terzomondista”

anni ’80: l’assistenza sanitaria primaria comincia a diventare un concetto selettivo, perché si riconduce ad una visione di intervento medico e tecnologico i costi per la ricerca tecnologica aumentano. Per questo motivo entrano sulla scena mondiale 2 attori “nuovi”:
1. Banca Mondiale: stanzia contributi per i paesi sottosviluppati
2. OCSE: stanzia contributi per i paesi suoi membri

anni ’90: l’approccio della Banca Mondiale è meno pressante e il suo ruolo a livello nazionale passa al settore privato, che riceve in appalto servizi fino ad allora nelle mani dell’amministrazione pubblica. Questo non fa che acuire le disuguaglianze di accesso, soprattutto nei paesi occidentali.

Fino a un’epoca recente, la storia dei farmaci fu segnata dall’ottimismo; la spinta creativa giunse l’apice tra le 2 guerre mondiali.
Fu anche il colonialismo a imprimere una forte spinta alla ricerca farmaceutica in Europa e altrove, e se proprio in quegli anni furono gettate le basi della farmacopea contro le malattie tropicali, lo si deve al fatto che la politica sanitaria costituiva uno degli elementi fondamentali della politica coloniale.
Il declino dell’esperienza coloniale e l’aumento del commercio internazionale imposero in seguito la necessità di una ridefinizione della ricerca medica. Lo scenario cambia quando si intreccia la decisione, da parte delle aziende, di dedicarsi alla messa a punto di specialità che possano essere protette dai brevetti il farmaco veniva assorbito definitivamente dalla logica del mercato a discapito della sua funzione di bene di pubblica utilità, di risposta largamente accessibile ai bisogni reali e rilevanti della gente.

La disinvoltura con cui ogni vago concetto di responsabilità era stato rimosso dall’industria del farmaco suscitò la forte preoccupazione dell’allora direttore generale dell’Oms, Mahler, che nella 28° Assemblea generale del 1975 analizzò la preoccupante valenza indicatoria del farmaco come presupposto di iniquità.

Alla fine degli anni ’70, l’Oms lavorò con grande assiduità per ricollocare la partita sanitaria nell’alveo delle politiche nazionali, soffermandosi espressamente sulla dimensione della responsabilità degli operatori sanitari e del conseguente diritto alla salute, sancito poi nel 1978 con la Conferenza di Alma Ata.
Venne imbastita una credibile politica dei farmaci essenziali, attraverso il lancio nel 1977 del concetto di “essenzialità della terapia” e di una lista dei farmaci, la Essential Drugs List, che fissava (e continua a farlo tramite gli aggiornamenti) i principi attivi necessari a soddisfare adeguatamente e ad un prezzo accessibile a tutti il 90% dei bisogni medici del pianeta, soprattutto quelli dei paesi a basso reddito.
Il progetto scatenò le ire del settore privato, contrario all’idea di introdurre un uso più razionale dei farmaci nelle politiche nazionali e, in seconda battuta, anche di alcuni governi, in particolare gli USA.
Ciononostante, quella politica improntata al principio della salute di base ha senza dubbio consentito progressi reali sul fronte dell’accessibilità (tramite la diminuzione dei costi e l’introduzione di farmaci generici) e della razionalizzazione delle prescrizioni e degli approvvigionamenti, sia in termini di qualità che di quantità. Di sicuro, resta da fare molta strada per garantire ai pazienti l’accesso ai medicinali di ultima generazione, come la terapia per la cura dell’Aids.

Se il consumo dei farmaci è concentrato nei paesi industrializzati, la produzione farmaceutica lo è ancora più nettamente. Inevitabile notare la scalata delle aziende statunitensi a discapito delle controparti europee, il fenomeno delle fusioni transnazionali e la progressiva concentrazione del mercato nelle mani di 10 aziende principali, che arrivano a gestire il 48,8% della quota di mercato nel 2000.
In questo contesto, i brevetti sono dogma e chiave di volta intangibile di tutto l’edificio. Le nazioni industrializzate detengono il 97% di tutti i brevetti esistenti a livello mondiale e più dell’80% dei brevetti concessi ai paesi poveri appartengono a cittadini dei paesi industrializzati. Invece, i paesi in via di sviluppo dovranno pagare somme ingentissime, nei prossimi anni, per i diritti brevettali l’impoverimento avanza
Harvey E. Bale (direttore generale dell’Ifpma) argomenta che i prezzi e i brevetti dei farmaci sono del tutto irrilevanti nella questione del mancato accesso alle cure per i pazienti dei paesi poveri, e incalza rilanciando l’intera questione sul risibile impegno politico e finanziario dei governi ricchi a favore delle infrastrutture sanitarie dei paesi in via di sviluppo, senza le quali la terapia rimarrebbe del tutto inefficace in termini di copertura.
Da un punto di vista teoretico, alcuni studiosi mettono in dubbio che i brevetti garantiscano davvero un incentivo all’invenzione; si osserva nitidamente che la protezione brevettale gioca un ruolo del tutto irrilevante, a eccezione di quelle malattie per le quali esiste un ampio mercato nel mondo sviluppato e con un regime di prezzi così elevati che alla lunga potrebbe rivelarsi insostenibile per gli stessi governi dei paesi industrializzati.

Trips = l’accordo della WTO che stabilisce standard minimi nel campo della proprietà intellettuale; i paesi membri della WTO devono adeguarvisi con l’introduzione di legislazioni nazionali in materia. In base all’accordo Trips, i paesi della WTO devono garantire brevetti, per un minimo di 20 anni, a qualsivoglia invenzione di un prodotto o di un processo farmaceutico che risponda ai criteri fissati di innovazione, inventività e utilità. Nel settore specifico dei medicinali, il maggior cambiamento introdotto è l’obbligo di garantire protezione brevettuale sia ai prodotti che ai processi di invenzione farmaceutica i paesi in via di sviluppo non avranno più la possibilità di ricorrere ai medicinali di ultima generazione a prezzi più bassi in quanto diventerà illegale copiare i prodotti brevettati prima della scadenza del brevetto.

Tratto da GEOGRAFIA POLITICA ED ECONOMICA di Elisa Bertacin
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