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I danni causati sull'atmosfera


L’atmosfera, l’unica parte della biosfera condivisa da tutto il pianeta, dalla seconda metà del XX secolo cominciò a risentire dei danni arrecati dall’uomo a partire dalla rivoluzione industriale. Se tali reazioni si dimostreranno permanenti e cumulative, i modelli climatici originari e i biomi basati su di essi sono destinati a mutare in modo radicale. Quando si cominciarono a percepire queste mutazioni sembrava che il pericolo fosse il sovraraffreddamento, cioè l’inizio di un nuovo periodo glaciale. Un aumento delle sostanze riflettenti riduce la quantità di energia ricevuta dalla superficie terrestre, pertanto un effetto di raffreddamento, o effetto ghiacciaia, è inevitabile. Alcuni ritengono che le eruzioni vulcaniche determinano non solo cicli di raffreddamento della durata di anni, ma anche lo sviluppo delle ere glaciali stesse. Il 1816, il famoso anno senza estate, quando nel New England (USA) nevicò a giugno e si ebbero le gelate a luglio, fu probabilmente il riflesso climatico dell’eruzione del vulcano indonesiano Tambora, avvenuta l’anno precedente. Secondo le stime, l’esplosione provocò l’espulsione nell’atmosfera di 200milioni di tonnellate di aerosol gassosi (particelle solide e liquide che intercetta l’energia solare in entrata). Il conseguente effetto raffreddamento durò molti anni. Gli aerosol in forma solida e gassosa sono prodotti anche dalle attività antropiche. Essi vengono immessi in quantità crescenti dalle ciminiere delle fabbriche, delle centrali elettriche e degli edifici cittadini, dai tubi di scappamento dei veicoli e degli scarichi dei jet.
Durante gli anni Ottanta, i timori suscitati da tali pressioni lasciarono il posto a preoccupazioni riguardanti tre fonti diverse:
1) il riscaldamento globale causato dall’effetto serra;
2) le piogge acide;
3) la distruzione dell’ozono.
Si ritiene che questi fenomeni sono il risultato dell’immissione nell’atmosfera, da parte dell’uomo, di materiali in forme e quantità che i sistemi naturali non sono in grado di assorbire o riciclare.
L’attacco massiccio all’atmosfera da parte dell’uomo ebbe inizio forse con la rivoluzione industriale. Per far funzionare gli stabilimenti industriali, gli impianti di riscaldamento e di raffreddamento degli edifici e per alimentare i veicoli si è utilizzato il carbone e in seguito crescenti quantità di petrolio e gas naturale, che con la combustione si sono trasformati in biossido di carbonio e vapore acqueo. Nel contempo, le foreste sono state distrutte per ricavare legname e terreno da destinare all’agricoltura. Con una quantità maggiore di carbonio nell’atmosfera e meno alberi in grado di assorbirlo producendo in cambio ossigeno, i livelli di biossido di carbonio sono andati aumentando. Questo quantitativo aggiunto di biossido di carbonio riduce la capacità dell’atmosfera di far passare l’energia termica reirradiata, sotto forma di onde lunghe, dalla terra allo spazio. Il biossido di carbonio intrappola quindi il calore della Terra. Il cosiddetto effetto serra è una condizione naturale e un fattore necessario ai fini del bilancio termico della Terra. Lentamente ma inesorabilmente il calore trattenuto innalza la temperatura media della Terra e se il processo continua avremo nuovi modelli evolutivi dei climi e dei biomi.
Intergovernment Panel on Climate Change è un comitato, che fa capo alle Nazioni Unite e all’Organizzazione meteorologica mondiale e raggruppa 2mila scienziati di tutto il mondo. Fu costituito nel 1988 per valutare le conoscenze scientifiche sui cambiamenti climatici, stabilire l’impatto dei cambiamenti di questo tipo sull’ambiente e sulla società, formulare strategie di risposta.

Tratto da I CONCETTI CHIAVE DELLA GEOGRAFIA di Gabriella Galbiati
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