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Decolonizzazione dell'Africa del sud

La grande regione a sud del Sahara, dal Sudan britannico all’Africa Occidentale Francese (aof) compresi i possedimenti inglesi di costa d’Oro, Nigeria, Sierra Leone, fu la prima dell’Africa nera ad arrivare all’indipendenza (escluse ovviamente Liberia, Etiopia e Sudafrica, che però sono casi assai particolari).

Il primo stato fu il Sudan. Condominio anglo-egizziano sin dal 1899 il Sudan è un paese complesso: musulmano-arabo a Nord (da sempre legato all’Egitto e alla tradizione araba), a maggioranza cristiana e colore della pelle nero nel Sud. Nel ’36 accordi anglo-egizziani confermarono il condominio sul paese; nel ’53 altri accordi avviarono le procedure per l’indipendenza; nel ’55 scoppio una pseudo-guerra civile fra nord e sud del paese; nel ’56 fu dichiarata l’indipendenza, che venne immediatamente riconosciuta da Egitto e g.b. Successivamente proseguono i conflitti fra nord e sud, nella regione del Darfur, un po’ dovunque. La situazione di conflittualità diffusa persiste ancor oggi. Del caso di Etiopia, Eritrea e Somalia italiana abbiamo già parlato al capitolo 8, passiamo quindi all’Africa nera vera e propria. 

Nell’Africa occidentale britannica il governo inglese aveva avviato già dal ’47 (data dell’indipendenza di India e Pakistan), le procedure per l’affrancamento. La Costa d’Oro fu la prima colonia ad ottenere l’indipendenza: nel 1957 col nome di Ghana nell’ambito del Commonwealth. Tutti i possedimenti inglesi seguiranno il suo esempio, scegliendo di entrare nel Commonwealth; solo il Sudan in quanto paese arabo rifiuterà l’adesione, e, il Sudafrica ne sarà espulso nel ’61 per via dell’Apartheid. 

Il secondo paese ad affrancarsi fu la Nigeria, il più popoloso stato dell’Africa nera. La Nigeria era un conglomerato di esperienze storiche e religioso-culturali diverse, con un nord compattamente musulmano, dominato dagli hausa-fulani, e un sud più penetrato dalla colonizzazione dall’occidente e dal cristianesimo, spartito fra yoruba a ovest e igbo ad est. Il pericolo era che lo stato si disgregasse al momento dell’indipendenza. Dopo numerose conferenze fu adottata una forme federale che consentì allo stato di mantenersi dopo la proclamazione dell’indipendenza il 1° ottobre 1960. Otto anni dopo però scoppiava una sanguinosa guerra civile che fu risolta solo nel ’70, quando le truppe federali riusciranno a riconquistare le regioni secessioniste dell’Ovest. La Nigeria era ed è anche un importante produttore di petrolio.

Nel 1961 giunse all’indipendenza la Sierra Leone, dove però l’autonomia non valse a produrre una distribuzione più equa del potere fra i discendenti degli ex schiavi liberati dalla g.b. e la popolazione nativa, emarginata sia dalla politica che dall’economia.

Per l’Africa orientale francese invece è necessaria qualche parentesi. Nel 1958 De Gaulle istituì la Comunità franco-africana; si trattava di un tentativo di costruire qualcosa che replicasse i vantaggi del Commonwealth inglese, cioè offrire una soluzione di compromesso verso l’indipendenza alle colonie mantenendo con esse un rapporto privilegiato. Il tentativo si rivelò del tutto infruttifero ed ebbe vita brevissima. Assai migliore fu l’esito della Comunità francofona, che ebbe vita più lunga anche se poteri assai più limitati. Ad essa aderirono anche paesi non francesi, come l’ex Congo belga. L’intero processo di affrancamento delle colonie francesi fu comunque più tormentato di quello inglese; pesava soprattutto la volontà di Parigi di mantenere sempre -nonostante le concessioni di autonomia ed indipendenza- un certo controllo sulla politica delle sue ex colonie e sulla gestione dei suoi interessi. 

Il primo passo compiuto da Parigi fu di istituire governi autonomi per ognuna delle singole colonie che componevano l’Africa Occidentale Francese e l’Africa Equatoriale Francese (1956). La misura fu comunque criticata da numerosi esponenti africani, poiché smembrava le grandi regioni del colonialismo francese in piccoli stati, politicamente meno forti, e perché minava il progetto dei grandi stati federali, caro soprattutto ai sostenitori delle ideologie unitarie, negritudine e panafricanismo. Le loro preoccupazioni erano motivate: colonie ricche come la Costa d’Avorio nell’AOF e il Gabon nell’AEF, avevano tutto l’interesse a conquistare l’indipendenza come stati autonomi relativamente ricchi e progrediti, piuttosto che come regioni sviluppate all’interno di immense realtà statuali, arretrate e povere, quali sarebbero state l’Africa Orientale Francese e l’Africa Equatoriale Francese. All’opposto si schieravano stati come il Senegal e il Congo francese, le cui capitali, rispettivamente Dakar e Brazzaville, cresciute enormemente grazie allo status di centri amministrativi dell’AOF e dell’AEF, avrebbe perso tutti i loro privilegi se il progetto “federalista” non fosse entrato in porto. 
Alla fine la strategia francese del dividi et imperia, unita agli egoismi delle amministrazioni e dei poteri locali, fece naufragare il progetto federalista dei panafricanisti, primo fra tutti Leopold  S. Senghor, celeberrimo cantore della negritude.

Nel 1958, al via della quanta repubblica, Parigi propose un referendum in tutti i suoi possedimenti; agli africani veniva in teoria permesso di scegliere fra l’indipendenza immediata e una forma di autonomia condizionata entro l’istituenda Comunità franco-africana, rimandando ancora l’emancipazione piena dei territori africani. Solo la Guinea votò in massa per l’indipendenza subito, il suo leader, il socialista Sékou Touré, disse che il popolo della Guinea preferiva la libertà nella penuria alla ricchezza nella servitù. La scelta fu però pagata a caro prezzo perché il governo francese decise di interrompere ogni relazione diplomatica con il nuovo stato, ritirare i tecnici e revocando ogni forma di assistenza. L’esempio della Guinea doveva essere penalizzato affinché nessuno avesse l’ardire di imitarlo. Con l’eccezione della Guinea in tutte le altre colonie il sì vinse con facilità; le amministrazioni locali, cresciute sotto l’ala della francia, sapevano che l’indipendenza sarebbe presto arrivata e che il governo sarebbe passato direttamente a loro in eredità, così riuscirono con facilità a mobilitare le masse in favore del sì, che contentava la Francia e dava loro il tempo di prepararsi alla transizione di poteri.

L’indipendenza dell’Africa francese era infatti solo questione di mesi o al massimo di qualche anno. Nel 1960 tutti gli stati dell’AOF e dell’AEF e il Madagascar, amministrato di fatto come un’appendice dei due grandi raggruppamento continentali, più Camerun e Togo, che erano amministrati a se in quanto mandati Onu, chiesero ed ottennero l’indipendenza nelle forme debite: istanza, negoziato, costituzione e indipendenza formale. Un indipendenza quella concessa dalla Francia, con caratteri neocolonialisti, come si disse allora, poiché nonostante la formale autonomia i nuovi stati rimanevano ancora molto legati alla madrepatria: la permanenza in vigore del franco cfa sotto l’autorità della banca centrale francese era il simbolo tangibile di questa dipendenza, più tangibile forse della stessa presenza di reparti militari francesi in alcuni degli ex possedimenti, a difesa delle minacce alla loro stabilità interna.  
Il Senegal fallito il progetto federalista che doveva comprendere l’intera AOF, ripiegò verso una soluzione federale con l’odierno Mali. Il nuovo stato divenne indipendente il 20 giugno 1960, ma già il 20 agosto dello stesso anno contrasti fra Senghor e il leader del Mali Modiko Keita, ne determinarono la scissione in due stati indipendenti. Nello stesso anno fu proclamata la Repubblica islamica di Mauritania e sempre nel 1960 divennero indipendenti anche Burkina Faso e il Dahomey, che nel 1975 cambio nome in Benin.

Tratto da AFRICA: LA STORIA RITROVATA di Lorenzo Possamai
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