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Sarris e Rivette: la nozione di autorialità


Sia per Sarris che per Rivette, a nozione di autorialità sembra obbedire a due principi. Da una parte un metodo di classificazione, dall’altra uno strumento di implicita instaurazione di valori secondo una linea di percorso intellettuale coincidente esattamente con ciò che Bazin invitava a non fare: servirsi del principio di individualità come test di rilevanza estetico-culturale.
L’autore reale produce un testo il quale a sua volta veicola un’immagine di un Enunciatore definibile al contempo come entità strutturata ed entità strutturante.
Da entità ancora in bilico tra principio determinante e principio determinato, la nozione di soggetto autoriale viene ridotta in fase post-strutturalista ad un concetto opzionale, ad una casella vuota in grado di essere riempita da altre funzioni, ad operatore arbitrario di sintesi: si passa dall’autore della finzione alla finzione dell’autore.
Oggi il compito del critico è ricomporre i frammenti dell’immagine infranta. Ogni versione dell’autorialità può venire utile per ogni scopo specifico. Bisogna distinguere tra l’utilizzo semplice dello schema personificante e il richiamo alla funzione autoriale vera e propria; nel primo caso il critico si accontenta di effettuare un richiamo esplicito alla figura antropoide del discorso che compare come soggetto agente e ponente in essere il testo. Nel secondo caso l’interprete ricostruisce un’immagine del regista e la pone a monte del processo creativo: l’attivazione della funzione non può prescindere dall’utilizzo di uno schema personificante, ma molto spesso non rende evidente questo utilizzo; quando si rende operativa la funzione, il richiamo all’autore in carne ed ossa può essere sia dichiarato, sia lasciato nell’implicito.
Molte cose sono state lasciate da parte, alcuni problemi rimangono irrisolti. Si è ad esempio relegato in secondo piano la questione della processualità delle mosse di lettura.
La questione delle diverse modalità di lettura che caratterizzano le sottocomunità interpretative porta ad evidenziare un’altra lacuna: non aver dato spazio sufficiente ai processi storici che determinano l’identità dei vari stili critici. Si è trascurato di considerare la tradizione della rivista ospitante come elemento determinante nella scelta dei significati da selezionare nel corso dell’analisi.
Ora, nelle pagine a seguire si tornerà su una serie di preoccupazioni presenti in forma frammentaria nei discorsi fatti finora.

Tratto da CRITICA CINEMATOGRAFICA di Nicola Giuseppe Scelsi
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