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Gli investitori istituzionali

Gli investitori istituzionali del mercato mobiliare si caratterizzano per la presenza di una gestione in monte del risparmio raccolto ed investito in strumenti finanziari; gestione in monte che si contrappone alle gestioni, individuali, di portafogli di investimento, considerate, appunto, un “servizio di investimento”. E mentre nelle gestioni in monte il singolo risparmiatore è “proprietario” di una frazione di un patrimonio “comune” alla generalità dei risparmiatori coinvolti nella gestione, nelle gestioni personalizzate non vi è alcuna comunicazione fra i portafogli di investimento dei vari risparmiatori “gestiti”. Il legislatore definisce la nozione di “gestione collettiva del risparmio” identificandola nel servizio che si realizza attraverso: - la promozione, istituzione e organizzazione di fondi comuni di investimento e l’amministrazione dei rapporti con i partecipanti; - la gestione del patrimonio di OICR (ossia di fondi comuni di investimento o di SICAV), di propria o altrui istituzione, mediante l’investimento avente ad oggetto strumenti finanziari, crediti o altri beni mobili o immobili. Viene poi definito fondo comune di investimento “il patrimonio autonomo, suddiviso in quote, di pertinenza di una pluralità di partecipanti, gestito in monte” indipendentemente dal fatto che l’investimento debba avvenire in strumenti finanziari o in altri beni. Analogamente vengono individuate le SICAV, come le società “aventi per oggetto esclusivo l’investimento collettivo del patrimonio raccolto mediante offerta al pubblico di proprie azioni”, indipendentemente dai beni nei quali viene investito il patrimonio così raccolto. Il che consente anche di precisare che la nozione di “organismi di investimento collettivo del risparmio” (OICR), che individua ogni singolo fondo comune e ogni SICAV, è più ampia della nozione di organismi di investimento collettivo in valori mobiliari (OICVM) presa in considerazione dalla direttiva sul mutuo riconoscimento degli organismi di investimento collettivo, dal momento che questa assume come elemento essenziale il fatto che l’investimento avvenga in valori mobiliari e che il fondo sia aperto. Il legislatore riserva la prestazione del servizio di gestione collettiva del risparmio, come sopra definita, alle “società di gestione del risparmio” e alle SICAV con esclusione, quindi, sia delle imprese di investimento sia delle banche.


La società di gestione del risparmio

Il Testo Unico consente alle società di gestione del risparmio (SGR) non solo di promuovere e gestire fondi comuni propri, ma anche a) di prestare il servizio di gestione su base individuale di portafogli di investimento per conto terzi; b) di gestire fondi comuni istituiti da altre società di gestione; c) di istituire e gestire fondi pensione; d) di gestire patrimoni di SICAV; e) di esercitare per delega l’attività di gestione di portafogli di investimento di altre imprese di investimento o di altre società di gestione del risparmio; non solo ma il Testo Unico consente che la SGR possa esercitare anche il solo “servizio di gestione su base individuale di portafogli di investimento”. L’esercizio del servizio di gestione collettiva del risparmio e di quello di gestione di portafogli di investimento su base individuale da parte della società di gestione deve essere previamente autorizzato dalla Banca d’Italia sentita la Consob. L’autorizzazione, cui è subordinato l’esercizio dell’attività ma non la costituzione della società, è dovuta quando: - sia adottata la forma di società per azioni; - la sede legale e la direzione generale della società siano situate in Italia; - il capitale sociale versato sia di ammontare non inferiore a quello determinato in via generale dalla Banca d’Italia (1 milione di euro); - i soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, direzione e controllo abbiano i requisiti di professionalità, indipendenza e onorabilità e i partecipanti al capitale quelli di onorabilità indicati dal Ministro dell’economia e delle finanze; - la struttura di gruppo di cui è parte la società non sia tale da pregiudicare l’effettivo esercizio della vigilanza sulla società stessa; - venga presentato, unitamente all’atto costitutivo e allo statuto, un programma concernente l’attività iniziale, nonché una relazione sulla struttura organizzativa; - la denominazione sociale contenga le parole “società di gestione del risparmio”. Sulle SGR insiste la vigilanza della Banca d’Italia, per quanto concerne i profili di contenimento del rischio, di stabilità patrimoniale e di sana e prudente gestione, e della Consob, per quanto attiene alla trasparenza e alla correttezza dei comportamenti. Una SGR può limitarsi a istituire e organizzare un fondo comune e ad amministrare i rapporti con i partecipanti, delegando ad altra SGR la gestione del medesimo fondo. Il Regolamento congiunto emanato da Banca d’Italia e Consob precisa i limiti e le modalità organizzative che debbono essere adottate. La SGR promotore predispone adeguati processi per: - una efficiente gestione amministrativa dei rapporti con i partecipanti ai fondi; - un tempestivo e costante scambio di informazioni con le proprie strutture di commercializzazione, gli intermediari incaricati del collocamento, la banca depositaria e la SGR gestore. A sua volta la SGR gestore predispone adeguati processi per un tempestivo e costante scambio di informazioni con la banca depositaria e la SGR promotore. SGR promotore e SGR gestore debbono stipulare una convenzione secondo la quale la delega - non implica alcun esonero o limitazione di responsabilità delle società stipulanti; - ha un contenuto conforme agli obiettivi, alle politiche di investimento e al profilo di rischio dei fondi con riferimento ai quali è stipulata; - è formulata in maniera tale da assicurare il rispetto delle disposizioni in materia di conflitti di interessi con riferimento alla società promotrice e alla società che svolge la gestione; - fornisce indicazioni in merito alla società alla quale spetta l’esercizio dei diritti di intervento e di voto in assemblea inerenti agli strumenti finanziari di pertinenza degli OICR gestiti. Nei confronti delle SGR possono essere assunti gli stessi provvedimenti ingiuntivi e cautelari (intimazione a porre termine alle irregolarità, divieto di intraprendere nuove operazioni, sospensione degli organi amministrativi) che possono essere adottati nei confronti delle Sim. E come le Sim esse possono essere sottoposte ad amministrazione straordinaria e a liquidazione coatta amministrativa nelle ipotesi in cui le prime possono esserlo.


I fondi comuni di investimento

 I fondi comuni di investimento sono caratterizzati da una gestione in monte, da effettuarsi secondo criteri capaci di ridurre il rischio dell’investimento attraverso la diversificazione degli impieghi e nel rispetto delle esigenze di liquidità proprie di quel tipo di fondo. Il modello organizzativo adottato dal legislatore prevede che, pur essendo la gestione svolta a rischio dei partecipanti al fondo, questi ultimi siano privi di qualunque potere gestorio, essendo ogni decisione, in ordine agli investimenti e disinvestimenti delle risorse, rimessa esclusivamente alla società di gestione del fondo. L’esecuzione delle operazioni e la custodia degli strumenti finanziari e del danaro ricompresi nel fondo debbono, per altro, essere necessariamente affidate ad una banca. I partecipanti hanno solo il diritto di essere informati sull’andamento della gestione e trovano la loro principale tutela nel diritto alla liquidazione della loro quota di partecipazione al fondo. Il modello (c.d. trilaterale) organizzativo dei fondi comuni fa perno su tre elementi portanti: la società di gestione, la banca depositaria e i partecipanti. La disciplina dei fondi è la disciplina dei rapporti fra questi tre soggetti o categorie di soggetti. Su questi rapporti si innesta poi la vigilanza pubblica. Naturalmente il punto di riferimento di questi rapporti è l’insieme delle risorse apportate dai partecipanti e i beni nei quali quelle risorse sono investite. Un momento rilevante, anche nella ricostruzione del modello organizzativo del fondo, è infatti rappresentato dalla condizione giuridica di quei beni; beni che sotto il profilo patrimoniale “appartengono” ai partecipanti, ma che, sotto il profilo del potere di amministrazione e di disposizione, sono sottratti a questi ultimi; beni che costituiscono, per espresso disposto legislativo, un patrimonio autonomo e distinto ad ogni effetto sia dal patrimonio della società di gestione sia dai patrimoni dei singoli partecipanti. La società di gestione, nel momento in cui decide di istituire un fondo comune, ne delibera il regolamento. Il regolamento, che “definisce le caratteristiche del fondo, ne disciplina il funzionamento, indica la società promotrice, il gestore, se diverso dalla società promotrice, e la banca depositaria, definisce la ripartizione dei compiti tra tali soggetti, regola i rapporti intercorrenti tra tali soggetti e i partecipanti al fondo”, deve essere approvato dalla Banca d’Italia, come debbono essere approvate le sue eventuali modificazioni. Soltanto dopo l’approvazione del regolamento la società di gestione potrà procedere alla raccolta del risparmio fra il pubblico attraverso il contestuale collocamento dei documenti rappresentativi della partecipazione al fondo (certificati di partecipazione). Il fondo comune è gestito dalla società di gestione che lo ha istituito (anche se, come sappiamo, tale gestione può essere affidata ad altra società di gestione). Questa investe nei beni indicati dal regolamento le somme versate dai partecipanti e provvede, nell’interesse dei medesimi, agli acquisti, alle vendite e alle attività di amministrazione ritenute più opportune per la valorizzazione del fondo, nonché alla distribuzione ai partecipanti dei proventi della gestione. La società compie le operazioni di gestione in nome proprio ed è quindi “intestataria” dei beni nei quali vengono investite le risorse dei partecipanti; in particolare per quanto concerne le azioni (e in genere i titoli di credito) legittimata ad esercitare i diritti incorporati nei titoli è soltanto la società di gestione, mentre la titolarità del diritto appartiene al fondo. Come abbiamo già ricordato il legislatore stabilisce che “nel caso in cui il gestore sia diverso dalla società promotrice, l’esercizio del diritto di voto … spetta al gestore, salvo patto contrario”. Nell’ipotesi in cui il gestore fosse intestatario delle azioni e il voto spettasse, per regolamento, alla società promotrice sarebbe necessario che il gestore ponesse quest’ultima nella condizione di poter esercitare il diritto di voto, magari sulla base di una delega. Allo scopo di contrastarne eventuali comportamenti fraudolenti, il legislatore impedisce alle società di gestione di avere la detenzione materiale delle somme e degli strumenti finanziari, ma non anche degli altri beni che concorrono a costituire il fondo comune, e impone che la relativa custodia sia affidata ad una banca. L’assunzione dell’incarico di banca depositaria è subordinata al rispetto delle seguenti condizioni: - la banca deve essere una banca italiana o una succursale di una banca comunitaria; - l’ammontare del patrimonio di vigilanza non deve essere inferiore a 100 milioni di euro; - l’assetto organizzativo deve essere idoneo a garantire l’efficiente e corretto adempimento dei compiti ad essa affidati; - la banca deve aver maturato un’esperienza adeguata all’incarico da assumere. La banca depositaria è anche un momento dell’organizzazione di vigilanza pubblica sui fondi e sulla società di gestione. Il T.U. stabilisce, infatti, che “gli amministratori e i sindaci della banca depositaria riferiscono senza ritardo alla Banca d’Italia e alla Consob, ciascuna per proprie competenze, sulle irregolarità riscontrate nell’amministrazione della società di gestione del risparmio e nella gestione dei fondi comuni”. L’acquisizione di una quota di partecipazione attribuisce all’acquirente la condizione di partecipante al fondo, ossia di parte nel rapporto, di partecipazione al fondo, che lega ciascun partecipante alla società di gestione. Il contratto così concluso attribuisce al partecipante il diritto a veder investite, secondo le regole stabilite dalla legge, dal regolamento e dalle prescrizioni di vigilanza, le somme versate, nonché il diritto alla restituzione di una somma di danaro pari alla frazione del valore del fondo rappresentata dal numero delle quote che lo stesso abbia acquistato o sottoscritto. Come già ricordato, i partecipanti non hanno alcun diritto amministrativo, ossia non possono dare istruzioni alla società di gestione, non possono impedire alcuna delle scelte che questa intenda effettuare, non hanno alcun modo per far giungere la propria voce al gestore; l’unico modo per manifestare un dissenso è quello di vendere le quote del fondo, o di chiederne il rimborso, ferma restando la possibilità di esercitare eventuali azioni risarcitorie nei confronti del medesimo ed eventualmente nei confronti dei suoi amministratori. Anche per quanto concerne l’informazione, la posizione del partecipante non è diversa da quelle di qualunque altro risparmiatore, come abbiamo potuto verificare appena sopra, constatando che gli strumenti di trasparenza del fondo sono posti a disposizione del pubblico. Se non per un particolare: i partecipanti hanno diritto di ottenere gratuitamente copia del rendiconto annuale e della relazione semestrale. La tipologia dei fondi, nell’ambito della disciplina generale fin qui illustrata, è interamente rimessa per esplicito dettato legislativo al regolamento che il Ministro dell’economia e delle finanze deve emanare, sentita la Banca d’Italia e la Consob, e che deve appunto delineare la struttura dei fondi comuni di investimento. Il Regolamento ministeriale 24 maggio 1999 n. 228, emanato in attuazione della suddetta disposizione, individua i seguenti tipi di fondi comuni di investimento: - i fondi aperti, a loro volta distinti, in fondi aperti armonizzati e fondi aperti non armonizzati; - i fondi chiusi, tra i quali vengono esplicitamente menzionati e disciplinati i fondi chiusi immobiliari; - i fondi riservati; - i fondi garantiti e - i fondi speculativi. I fondi aperti sono caratterizzati dalla possibilità, per i partecipanti, di entrata e di uscita continua dal fondo. I soggetti interessati a partecipare al fondo possono infatti sottoscrivere in ogni momento quote del fondo versando un importo corrispondente al valore della quota di partecipazione determinata “con periodicità almeno settimanale” dalla società di gestione. Parimenti “i partecipanti al fondo hanno diritto di chiedere in qualsiasi tempo il rimborso delle quote”; rimborso che deve avvenire entro quindici giorni dalla richiesta e che può essere sospeso solo, per un periodo non superiore ad un mese, nei casi eccezionali e la sospensione potrà essere giustificata con l’opportunità di evitare che il fondo, per effettuare rimborsi, proceda alla svendita dei titoli in portafoglio. Questa libertà di uscita impone alla gestione del fondo regole dirette ad assicurare la liquidità necessaria per far fronte ad improvvise richieste di consistenti rimborsi e, ancor prima, impedisce che le risorse del fondo siano investite in beni diversi dagli strumenti finanziari, quotati o non quotati, e in danaro. In altri termini i fondi comuni aperti sono necessariamente fondi mobiliari, investiti in strumenti finanziari, con esclusione quindi non solo dei beni immobili, ma anche di altri beni mobili e di crediti. La distinzione, nell’ambito dei fondi aperti, fra fondi armonizzati e fondi non armonizzati fa perno sulla conformità del fondo al modello descritto dalle direttive comunitarie sull’armonizzazione delle norme in materia di organismi di investimento collettivo in valori mobiliari e sul mutuo riconoscimento. Più esattamente il patrimonio dei fondi armonizzati “è investito nei beni previsti dalle direttive comunitarie in materia” e nel rispetto dei limiti e dei criteri stabiliti dalla Banca d’Italia in attuazione delle direttive medesime e le loro quote possono essere commercializzate nel territorio dell’Unione Europea in regime di mutuo riconoscimento. Mentre i fondi aperti non armonizzati sono quelli che non si conformano alle direttive comunitarie e quindi le loro quote non potranno godere del mutuo riconoscimento. I fondi chiusi si caratterizzano, nei confronti dei fonti aperti, sia sotto il profilo dei diritti dei partecipanti sia per quanto concerne i beni nei quali può essere investito il patrimonio e le regole che debbono essere seguite nella gestione. Il fondo si definisce chiuso perché i partecipanti non hanno né la libertà di entrata né la libertà di uscita previste per i fondi aperti. Più esattamente, il regolamento del fondo deve individuare l’ammontare delle risorse che la società di gestione intende destinare al fondo e la relativa raccolta avviene attraverso una o più emissioni di quote, di uguale valore unitario, che debbono essere sottoscritte entro il termine massimo di diciotto mesi dalla pubblicazione del prospetto, se quote sono offerte al pubblico, o dalla data di approvazione del regolamento, se sono riservate agli investitori istituzionali. La forma del fondo chiuso deve essere necessariamente adottata quando le risorse del fondo siano investite - in beni immobili e diritti reali immobiliari; - in crediti e titoli rappresentativi dei crediti e - in altri beni per i quali comunque esista un mercato e che abbiano un valore determinabile con certezza con una periodicità almeno semestrale. Non solo, ma la forma del fondo chiuso è necessaria anche quando il regolamento del fondo preveda che lo stesso sia investito in misura superiore al dieci per cento in strumenti finanziari non quotati. I fondi riservati, che possono essere sia aperti sia chiusi, sono i fondi la cui partecipazione è riservata a investitori qualificati. Debbono considerarsi investitori qualificati: - le imprese di investimento, le banche, gli agenti di cambio, le SGR, le SICAV, i fondi pensione, le imprese di assicurazione, le società finanziarie capogruppo di gruppi bancari, i soggetti iscritti negli elenchi previsti dagli artt. 106, 107 e 113 T.U.B. e le fondazioni bancarie; - le persone fisiche e giuridiche e gli altri enti in possesso di specifica competenza ed esperienza in operazioni in strumenti finanziari espressamente dichiarata per iscritto dalla persona fisica o dal legale rappresentante della persona giuridica o dall’ente. I fondi garantiti sono i fondi che garantiscono la restituzione del capitale investito ovvero il riconoscimento di un rendimento minimo, mediante la stipula di apposite convenzioni con banche, imprese di investimento che prestano il servizio di negoziazione per conto proprio, imprese di assicurazione o intermediari finanziari iscritti nell’elenco previsto dall’art. 107 T.U.B aventi i requisiti richiesti dalla Banca d’Italia, ovvero mediante altre eventuali forme di garanzia indicate dalla Banca d’Italia. Essi possono essere sia di tipo aperto che di tipo chiuso. Fondi speculativi sono i fondi il cui patrimonio è investito in beni, anche diversi da quelli nei quali può essere investito il patrimonio della generalità dei fondi e la cui gestione può avvenire anche “in deroga alle norme prudenziali di contenimento e frazionamento del rischio stabilite dalla Banca d’Italia. L’evidente rischiosità del relativo investimento ha imposto un limite massimo (200) al numero di soggetti che possono sottoscrivere le relative quote, un valore della singola partecipazione particolarmente elevata (cinquecentomila euro) e il divieto di fare delle quote di partecipazione l’oggetto di un’offerta al pubblico, anche se la loro sottoscrizione non è riservata agli investitori qualificati.  Le società di investimento a capitale variabile (SICAV)  Le società di investimento a capitale variabile (SICAV) presentano, dal punto di vista della funzione economica, forti analogie con i fondi comuni di investimento aperti, in quanto i risparmiatori che fanno affluire alle SICAV i propri apporti hanno diritto – in qualsiasi momento – al rimborso del valore delle azioni sottoscritte e, d’altro canto, le SICAV possono procedere all’emissione continua di nuove azioni, ricevendo così nuovi apporti. In altri termini, le SICAV sono organismi di investimento collettivo caratterizzati dalla stessa libertà di uscita e di entrata presente nei fondi comuni aperti: il che rende molto simili le loro politiche degli investimenti, in quanto si pongono in entrambe le ipotesi stringenti esigenze di liquidità. Si giustifica così la norma a mente della quale le regole che disciplinano l’investimento dei fondi aperti si applicano anche alle SICAV. La SICAV può costituirsi soltanto previa autorizzazione rilasciata dalla Banca d’Italia, sentita la Consob. L’autorizzazione è dovuta quando ricorrano le seguenti condizioni:  - sia adottata la forma di società per azioni;  - la sede legale e la direzione generale siano situate nel territorio della Repubblica;  - il capitale sociale sia di ammontare non inferiore a quello determinato in via generale dalla Banca d’Italia (1 milione di euro);  - i soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, direzione e controllo abbiano i requisiti di onorabilità, indipendenza e professionalità e i partecipanti i requisiti di onorabilità;  - lo statuto preveda come oggetto esclusivo l’investimento collettivo del patrimonio raccolto mediante offerta al pubblico delle proprie azioni. Ottenuta l’autorizzazione ministeriale, i fondatori possono procedere alla costituzione della società e al versamento, necessariamente integrale, dei conferimenti dovuti, rimanendo escluso che possano essere effettuati conferimenti di beni in natura “diversi dal conferimento di strumenti finanziari oggetto di investimento delle SICAV”. Una volta intervenuta l’iscrizione dell’atto costitutivo nel registro delle imprese, la Banca d’Italia provvede all’iscrizione della SICAV nell’albo relativo, tenuto a cura della stessa Banca d’Italia. Soltanto dopo l’iscrizione all’albo le SICAV possono procedere al collocamento presso il pubblico delle proprie azioni. Lo statuto, oltre alle regole organizzative della società in quanto tale, deve contenere particolari indicazioni relative all’attività di gestione del patrimonio e ai rapporti con gli azionisti-risparmiatori; deve, in altri termini, disciplinare le materie che nell’ambito dei fondi comuni sono disciplinate dal regolamento. Le modificazioni dello statuto devono essere approvate dalla Banca d’Italia e non possono essere iscritte nel registro delle imprese se non è intervenuta tale approvazione. La deliberazione assembleare di modificazione dello statuto deve essere inviata entro quindici giorni alla Banca d’Italia; se entro 4 mesi non interviene un provvedimento di diniego di quest’ultima, la modificazione si intende approvata “Il capitale delle SICAV è sempre uguale al patrimonio netto detenuto dalla società, così come determinato” secondo i criteri di valutazione stabiliti dalla Banca d’Italia. Inoltre alle SICAV non si applicano le norme sugli aumenti e le riduzioni di capitale delle spa. Le disposizioni appena riprodotte mettono in luce che la variabilità del capitale delle SICAV non si limita, come nelle società cooperative, ad escludere che una sua variazione costituisca modificazione dello statuto sociale, ma si spinge fino a negare un’autonomia concettuale ed operativa alla nozione stessa di capitale. Nelle società cooperative rimane ferma la distinzione fra capitale sociale (nominale) e patrimonio, nelle SICAV capitale sociale e patrimonio coincidono ed anzi il primo concetto perde ogni significato, come dimostra il fatto che non trova applicazione la disciplina del capitale dettata per le società per azioni. Dalla mancanza di un valore nominale del capitale sociale discende necessariamente che le azioni, decettivamente definite “rappresentative del capitale”, non hanno un valore nominale né un valore contabile; esse hanno soltanto un prezzo di emissione iniziale e un valore successivo di emissione e di rimborso determinato almeno settimanalmente e stabilito dividendo il valore delle attività nette per il numero delle azioni in circolazione, ossia con un criterio del tutto identico a quello adottato per la valorizzazione dei certificati di partecipazione al fondo comune, in particolare a quello di tipo aperto. Le azioni delle SICAV possono essere nominative o al portatore a scelta del sottoscrittore. La scelta della legge di circolazione del certificato azionario, mentre non alcuna rilevanza per quanto concerne i diritti patrimoniali dell’azionista, assume grande importanza per il diritto di voto. Infatti, mentre ogni azione nominativa attribuisce un voto, secondo la regola generale del diritto azionario, le azioni al portatore attribuiscono un solo voto per ogni socio indipendentemente dal numero delle azioni di tale categoria possedute. Ricordiamo, infine, che la SICAV “non può acquistare azioni proprie” né conservare in portafoglio quelle che (ad esempio, per operazioni di fusione) si trovasse a detenere e che non può emettere né azioni di risparmio né obbligazioni, né azioni correlate ai risultati dell’attività sociale in un determinato settore. La disciplina delle assemblee dei soci della SICAV riguarda essenzialmente le modalità di svolgimento del procedimento assembleare e la legittimazione ad esercitare il diritto di voto da parte dei portatori delle azioni nominative. Sotto il primo profilo il legislatore ha cercato di facilitare, in deroga alle norme del diritto azionario comune, la formazione della deliberazione: tenendo conto del prevedibile assenteismo dei soci, preclude l’impostazione di quorum costitutivi per le deliberazioni dell’assemblea ordinaria e per la seconda convocazione dell’assemblea straordinaria e impone la pubblicazione dell’avviso di convocazione anche sui quotidiani che pubblicano il valore del patrimonio della società e quello unitario delle azioni. Allo stesso scopo il legislatore prevede che il voto “possa essere dato per corrispondenza se ciò è ammesso dallo statuto”. Abbiamo già ricordato che alle SICAV si applicano le disposizioni dettate dal Ministro dell’economia e delle finanze per i fondi comuni aperti. Pertanto, nell’ipotesi in cui il patrimonio del fondo sia investito in strumenti finanziari in conformità con le direttive comunitarie saremo in presenza di una SICAV armonizzata, nell’ipotesi in cui il patrimonio sia investito non in conformità con le norme comunitarie saremo in presenza di una SICAV non armonizzata. In ogni caso il patrimonio delle SICAV non può essere investito in beni immobili e diritti reali immobiliari, in crediti e titoli rappresentativi di crediti: si tratta infatti di investimenti per i quali è necessario adottare la forma del fondo chiuso e che sono preclusi, così come ai fondi aperti, anche alle SICAV. A queste ultime è precluso, così come ai fondi aperti, anche l’investimento in strumenti finanziari non quotati in misura superiore al dieci per cento del patrimonio complessivo. La custodia di strumenti finanziari e delle disponibilità liquide della SICAV deve essere affidata ad una banca depositaria; banca depositaria che svolge altresì le funzioni di controllo già illustrate a proposito dei fondi comuni. Una SICAV può compiere operazioni di trasformazione, fusione e scissione in un’altra SICAV o in una SGR. Le delibere di fusione e scissione non possono, tuttavia, essere depositate per l’iscrizione nel registro delle imprese in mancanza della preventiva autorizzazione della Banca d’Italia, che la rilascia sentita la Consob. Le cause di scioglimento delle SICAV sono le stesse previste per le SPA, con esclusione di quella rappresentata dalla riduzione del capitale al di sotto del minimo legale. Una SICAV si scioglierà, per altro, anche quando il valore del patrimonio scenda al di sotto del valore minimo richiesto per la sua costituzione e rimanga al di sotto di tale soglie per sessanta giorni; termine quest’ultimo che rimane sospeso qualora sia iniziata una procedura di fusione con un’altra SICAV. La liquidazione è rimessa alle norme di diritto comune, anche se i liquidatori nominati dall’assemblea straordinaria dovranno, nella loro attività di realizzo delle attività sociali, tener conto delle disposizioni della Banca d’Italia, alla quale vanno preventivamente comunicati il piano di smobilizzo e quello di riparto. La banca depositaria procede poi, su istruzioni dei liquidatori, al rimborso delle azioni nella misura prevista dal bilancio finale di liquidazione.  L’attività transfrontaliera delle SGR e delle SICAV  L’attività transfrontaliera delle SGR è diversamente disciplinata a seconda che la stessa sia destinata a svolgersi in uno stato comunitario o in uno stato extracomunitario, a seconda che avvenga attraverso l’apertura di una succursale o senza stabilirvi succursali e ancora, a seconda che le SGR siano o non siano armonizzate. Le SGR, che intendono operare nei paesi comunitari senza stabilirvi succursali, debbono semplicemente comunicare tale intenzione alla Banca d’Italia, se armonizzate, mentre saranno vincolate dalla disciplina del paese ospitante se si tratta di offrire fondi non armonizzati. L’offerta dei servizi di gestione in un paese extracomunitario, deve essere autorizzata dalla Banca d’Italia anche quando avvenga senza l’apertura di una succursale. L’apertura di una succursale in un paese comunitario da parte di una SGR armonizzata deve solo essere preceduta dalla notifica di tale intenzione all’autorità del paese membro ospitante da parte della Banca d’Italia; notifica che la Banca d’Italia può rifiutare “per motivi attinenti all’adeguatezza della struttura organizzativa e della situazione finanziaria, economica e patrimoniale della società di gestione del risparmio”; la stessa sarà sottoposta inoltre alla disciplina del paese ospitante se riguarda una SGR non armonizzata. L’apertura di una succursale per l’offerta di servizi di gestione di portafogli da parte della SGR in un paese extracomunitario è invece subordinata all’autorizzazione della Banca d’Italia. L’offerta, in Italia, di quote di fondi comuni e di azioni SICAV non italiani è diversamente disciplinata a seconda che si tratti di fondi e azioni SICAV armonizzati, ossia provenienti da SGR e SICAV comunitari e conformi alle norme sugli organismi di investimento collettivo in valori mobiliari, o non armonizzati. Nella prima ipotesi l’offerta deve essere comunicata almeno due mesi prima del suo avvio sia alla Banca d’Italia sia alla Consob e può essere vietata con provvedimento motivato sia dall’una sia dall’altra quando “il modulo organizzativo adottato non consenta di assicurare l’esercizio in Italia dei diritti patrimoniali” degli investitori. Nella seconda ipotesi l’offerta deve essere autorizzata dalla Banca d’Italia, sentita la Consob, e l’autorizzazione può essere accordata a “condizione che i relativi schemi di funzionamento siano compatibili con quelli previsti per gli organismi italiani”. Naturalmente il collocamento presso il pubblico richiede la pubblicazione del prospetto informativo che deve precedere ogni sollecitazione all’investimento. La Banca d’Italia e la Consob hanno poteri informativi sull’emittente e sul collocatore e, nei confronti di quelli extracomunitari, anche poteri ispettivi.  I fondi pensione  I fondi pensione sono organismi che raccolgono il risparmio previdenziale dei lavoratori, autonomi e dipendenti, e gestiscono le risorse finanziarie così acquisite in vista del pagamento, a favore dei lavoratori aderenti al fondo, di trattamenti previdenziali, rendite o capitali, al momento della cessazione dell’attività lavorativa. Essi hanno, dunque, una funzione previdenziale, integrativa della previdenza obbligatoria, e non di investitore istituzionale del risparmio. Nell’ambito dei fondi pensione è necessario distinguere i fondi pensione chiusi dai fondi aperti. I fondi pensione chiusi sono riservati a particolari gruppi di lavoratori, individuati secondo predeterminati criteri di appartenenza a categorie omogenee. In particolare i fondi chiusi sono riservati - ai lavoratori dipendenti sia privati sia pubblici; - a raggruppamenti sia di lavoratori autonomi sia di liberi professionisti; - a raggruppamenti di soci lavoratori di cooperative di produzione e lavoro. Essi nascono sulla base di accordi o contratti che coinvolgono l’intero gruppo dei destinatari delle forme di previdenza integrative e più esattamente possono essere previsti da - contratti e accordi collettivi, ovvero, in mancanza, accordi fra lavoratori, promossi da sindacati firmatari di contratti collettivi nazionali di lavoro; - accordi fra lavoratori autonomi o fra liberi professionisti, promossi da loro sindacati o associazioni di rilievo almeno regionale; - regolamenti di enti o aziende, i cui rapporti di lavoro non siano disciplinati da contratti collettivi; - accordi fra soci lavoratori di cooperative di produzione e lavoro, promossi da associazioni nazionali di rappresentanza del movimento cooperativo legalmente riconosciute. I fondi pensione aperti nascono per iniziativa di soggetti promotori, a tal fine autorizzati, che offrono a singoli lavoratori o a gruppi di lavoratori prestazioni di previdenza integrativa. Su entrambi i tipi di fondi insiste la vigilanza della COVIP, Commissione di Vigilanza sui fondi pensione; autorità dotata di personalità di diritto pubblico che ha come scopo quello di perseguire la corretta e trasparente amministrazione e gestione dei fondi per la funzionalità del sistema di previdenza complementare e a sua volta sottoposta alla vigilanza del Ministro del lavoro che “emana le direttive generali in materia di vigilanza sui fondi pensione, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze. I fondi pensione chiusi sono costituiti nella forma dell’associazione non riconosciuta o della persona giuridica attribuita al fondo da un provvedimento del Ministro del lavoro. In entrambi i casi la raccolta del risparmio fra i lavoratori e la gestione delle stesso da parte del fondo possono essere effettuate solo previa autorizzazione della COVIP. L’autorizzazione è subordinata alla presenza di requisiti di professionalità e onorabilità degli esponenti aziendali e, soprattutto, alla indicazione puntuale, nello statuto del fondo, delle caratteristiche del fondo stesso e delle modalità di gestione delle risorse. I fondi così autorizzati sono iscritti nell’albo dei fondi pensione tenuto dalla COVIP. Le modalità di gestione delle risorse raccolte dal fondo sono fissate in modo radicalmente diverso a seconda che il fondo sia a prestazione definita, ossia con predeterminazione della somma o della rendita che dovrà essere corrisposta al lavoratore, o a contribuzione definita, rimanendo in questo secondo caso l’entità della prestazione previdenziale determinata dai risultati della gestione del risparmio raccolto. Nella prima ipotesi, nella quale si è in presenza di un’attività tipicamente assicurativa in quanto la corresponsione della somme è esposta al rischio reale del momento in cui il lavoratore cesserà la propria attività, il fondo deve necessariamente impiegare il risparmio raccolto nella stipulazione di contratti di assicurazione, con imprese di assicurazione, che assumono l’impiego di corrispondere le prestazioni previdenziali convenute. In questo caso il fondo non svolge alcuna attività di investimento mobiliare; attività che potrà invece essere svolta dall’impresa di assicurazione nella gestione delle somme ricevute, sotto forma di premi, dal fondo. Il fondo si limita a stipulare il contratto di assicurazione, a favore del lavoratore, e a svolgere le attività necessarie per conservare il rapporto assicurativo, compreso, e in primo luogo, il pagamento dei premi. Nell’ipotesi, invece, in cui il regime previsto sia non a prestazione definita ma a contribuzione definita, il ruolo del fondo assume importanza ben maggiore, anche per quanto concerne l’attività di mercato mobiliare. Il legislatore, a dire il vero, non consente la gestione diretta del risparmio da parte del fondo, neppure in questo caso, ed impone al fondo di affidare la gestione stessa ad un operatore professionale, sulla base di una convenzione che, per altro, riserva al fondo una posizione di grande rilievo. In particolare il fondo può stipulare una convenzione per la gestione delle risorse a) con un’impresa di investimento o con una banca autorizzata all’esercizio dell’attività di gestione; b) con una società di gestione del risparmio; c) con un’impresa di assicurazione. Accanto al rapporto fra fondo e gestore si colloca poi quello che lega quest’ultimo alla banca depositaria, la cui presenza è obbligatoria anche nella gestione del risparmio previdenziale, così come lo è per le gestioni degli altri investitori istituzionali; banca depositaria cui è affidata la custodia delle risorse e che svolge altresì il controllo preventivo di legittimità sulle scelte del gestore. Le convenzioni che legano il fondo al gestore devono, in ogni caso - contenere le linee di indirizzo delle attività del gestore “e le modalità con le quali possono essere modificate” tali linee; - prevedere i termini e le modalità attraverso cui i fondi pensione possono recedere dal rapporto di gestione; - prevedere l’attribuzione in ogni caso al fondo della titolarità dei diritti di voto inerenti ai valori mobiliari nei quali risultano investite le disponibilità del fondo medesimo. Di grande rilievo nel determinare la struttura e il comportamento dei fondi è la vigilanza della COVIP. Questa, infatti, concorre all’approvazione degli statuti dei fondi, alla determinazione del contenuto delle convenzioni e dei contratti tipo e assume i provvedimenti necessari per assicurare la trasparenza dei rapporti fra fondo e partecipanti. i fondi aperti possono essere istituiti dai “soggetti con i quali è consentita la stipulazione di convenzioni” per la gestione delle risorse dei fondi pensione chiusi, ossia banche, autorizzate all’esercizio del servizio delle gestioni personalizzate, compagnie di assicurazione, SGR e SIM. L’istituzione del fondo deve essere autorizzata dalla COVIP, d’intesa con le autorità di vigilanza sui soggetti promotori. I fondi aperti potranno avere sia le caratteristiche del fondo a prestazione definita (nel qual caso la relativa convenzione potrà essere stipulata esclusivamente con un’impresa di assicurazione) o a contribuzione definita. Intervenuta l’autorizzazione, la società promotrice potrà raccogliere il risparmio previdenziale presso i lavoratori, dipendenti o autonomi, e anche presso soggetti non lavoratori, nel rispetto delle norme sull’offerta al pubblico di prodotti finanziari. I risparmiatori acquisiranno così una quota del fondo; quota che deve considerarsi a sua volta un prodotto finanziario ma non uno strumento finanziario. Le risorse così raccolte costituiscono un patrimonio separato da quello della società promotrice e di pertinenza della collettività degli aderenti al fondo. Le risorse verranno gestite, in conformità con le indicazioni del regolamento del fondo, dagli organi della medesima società promotrice, la quale, per altro, deve provvedere normalmente ad individuare un responsabile del fondo, dotato dei poteri necessari per vigilare sulla gestione del fondo. Le risorse vengono necessariamente custodite presso una banca depositaria. L’esercizio del diritto di voto compete alla società promotrice del fondo.

Tratto da IL MERCATO MOBILIARE di Fabio Muzzolu
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