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La campagna contro gli ebrei. Seconda fase: dal censimento alle leggi razziste


L’inaugurazione della politica antiebraica in Italia non derivò da alcuna pressione tedesca, essa fu una decisione autonoma del regime fascista nel tentativo di rivitalizzare il regime all’interno, approfittando di una congiuntura internazionale che ne agevolava le mosse.
Il 16 febbraio 1938 venne pubblicata la nota della “Informazione diplomatica” n. 14, contenente la prima esplicita pubblica presa di posizione di Mussolini sulla questione ebraica.
Il 13 Luglio fu pubblicato il Manifesto della razza, il quale si presentava come un decalogo destinato a stabilire i fondamenti storico-antropologici di un dispositivo normativo.
Premesso che “le razze umane esistono”, che il “concetto di razza è concetto puramente biologico”, il Manifesto si avventurava in una temeraria disquisizione sull’origine ariana della popolazione italiana per pervenire all’affermazione dell’esistenza di una “razza italiana” pura.
Il 17 luglio 1938 l'Ufficio centrale demografico del Ministero dell'Interno cambiava nome e competenze diventando la nuova Direzione generale per la demografia e la razza (nota come Demorazza).
Un secondo spezzone dell’articolazione istituzionale che fu specificatamente preposto allo studio della questione razziale fu l’Ufficio studi del problema della razza, creato nell’agosto presso il gabinetto del ministro della cultura popolare.
Il 22 agosto 1938 venne effettuato il censimento degli ebrei, allo scopo di contare (ma di fatto soprattutto di schedare) il numero degli ebrei che si trovavano in Italia, come presupposto per l’emanazione di una speciale normativa. Con i dati del censimento si voleva mettere la popolazione italiana dinanzi a un risultato che dimostrasse inconfutabilmente la presenza di un numero rilevante di ebrei, così da creare consenso intorno a norme discriminatorie attraverso l’enfatizzazione di un pericolo che in passato non era stato avvertito.
In seguito vennero emanati una serie di decreti che inasprivano le condizioni degli ebrei in Italia.
Vi fu l’esclusione immediata dall’insegnamento nelle scuole di persone di razza ebraica; il divieto di iscrizione alle stesse scuole  di alunni di razza ebraica. A fine settembre un ulteriore decreto-legge stabiliva la creazione nelle scuole elementari statali di sezioni speciali per gli alunni ebrei e la facoltà delle comunità ebraiche di istituire proprie scuole elementari.
I testi scolastici furono resi conformi alla svolta razzista e la difesa della razza entrò a far parte integrante del Primo e soprattutto del Secondo libro fascista, che circolavano in tutte le scuole.
Divieto di matrimonio tra italiane e italiani e appartenenti a razze non ariane
Espulsione degli ebrei dal partito nazionale fascista
Divieto per gli ebrei di essere possessori o dirigenti di aziende di qualsiasi natura che impieghino cento o più persone o essere possessori di oltre 50 ettari di terreno
Divieto di prestare servizio militare
Allontanamento dagli impieghi pubblici
Speciale regolamentazione per l ‘accesso alle professioni
Dalle sanzioni che colpivano gli ebrei venivano esonerate una serie di categorie di ebrei di cittadinanza italiana che si fossero resi benemeriti per cause patriottiche e per particolare devozione fascista.
Uno studioso, Valerio Di Porto, che ha operato di recente una comparazione puntuale tra la legislazione italiana e quella tedesca, ha convalidato un’osservazione di questo tipo: non esiste in Germania una norma sull’espulsione generalizzata degli ebrei stranieri come quella italiana del 1938; analogamente l’espulsione degli ebrei dalle scuole in Germania seguì un percorso molto più graduale che in Italia.

Tratto da IL FASCISMO E GLI EBREI di Antonino Cascione
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