Skip to content

La semiologia come parte della linguistica - Barthes -





Finora la semiologia si è occupata solo di codici di interesse assai ristretto, come il codice stradale; non appena si passa a sistemi di un’autentica profondità sociologica, si incontra di nuovo il linguaggio. Oggetti, immagini, comportamenti possono significare, e significano ampiamente, ma mai in modo autonomo: ogni sistema semiologico ha a che fare con il linguaggio. Quindi, si deve ammettere la possibilità un giorno di rovesciare l’affermazione saussuriana: la linguistica non è una parte, sia pure privilegiata, della scienza generale dei segni, ma viceversa la semiologia è una parte della linguistica, e precisamente quella parte che ha per oggetto le grandi unità significanti del discorso.
Ciò che Barthes intuiva già in questo testo è l’estrema difficoltà di applicare fuori dalla lingua naturale i modelli della linguistica intesa in senso ristretto: è difficile esportare fuori dalla lingua il criterio della doppia articolazione (monemi e fonemi) e dunque la semiologia deve avere come oggetto lo studio delle grandi unità significanti. Sono esse ad essere comuni ai più diversi sistemi di segni, sono dunque esse a cui dovrà interessarsi anche il semiologo del cinema, tenendo presente che saranno comunque commesse al proprio significato secondo i modi della lingua. Una delle differenze tra il significato linguistico e quello semiologico risiederebbe allora proprio nel fatto che quest’ultimo può essere commesso ai segni della lingua, presentandosi dunque come non isologico.
Più oltre Barthes specifica ulteriormente la questione introducendo una distinzione tra significati isologici – dove si avranno sistemi semiologici (come la lingua) in cui il significato corrisponde esattamente ed indissolubilmente al proprio significante – e non isologici – dove al significante viene attribuito un significato attraverso la mediazione della lingua.
Questa distinzione è in realtà assai poco difendibile; in particolare la proprietà che Barthes definisce come isologia sembra a tutta prima vicina alla nozione hjelmsleviana di conformità: al di là della definizione rigorosa, si ha conformità tra due piani di linguaggio quando esiste una corrispondenza termine a termine tra i singoli elementi dei due piani; si avranno in questo caso delle semiotiche interpretabili, ma il cui contenuto non è ulteriormente analizzabile in figure (è il caso dei simboli in senso stretto: la bilancia, in una cultura determinata è simbolo della giustizia – e dunque interpretabile –, ma il suo contenuto proprio aderisce esattamente alla sua espressione e dunque non è ulteriormente analizzabile).
Semiotiche di tal genere si definiscono monoplanari (Hjelmslev contempla qui alcuni giochi, come gli scacchi, i linguaggi simbolici, come quello algebrico, e, in forma dubitativa, la musica), in opposizione alle semiotiche propriamente dette (biplanari), di cui si dà analisi linguistica.
Allora la conclusione che si deve trarre dal testo di Barthes è quantomeno paradossale: la lingua naturale, al pari del linguaggio musicale, appartiene alle semiotiche monoplanari e dunque andrebbe annoverata tra quelle che Hjelmslev considera non-lingue.

Tratto da SEMIOTICA DEI MEDIA di Nicola Giuseppe Scelsi
Valuta questi appunti:

Continua a leggere:

Dettagli appunto:

Altri appunti correlati:

Per approfondire questo argomento, consulta le Tesi:

Puoi scaricare gratuitamente questo appunto in versione integrale.