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L'Istituzione e le sue dinamiche

Qui verrà trattato l'argomento delle relazioni interpersonali e di gruppo che gli operatori si trovano a vivere quando lavorano in un contesto istituzionale.
Conoscere tale dimensione del lavoro è molto importante per infermieri ed educatori che si ritrovano spesso nel corso della loro carriera a operare in diversi contesti e accanto a diverse professionalità.
In questo senso gli educatori e gli infermieri si possono definire come figure professionali intermedie: da un lato il loro sapere può attraversare istituzioni diverse (Ospedale, Sert, Scuola, Comunità terapeutica, Istituzione psichiatrica, Penitenziario, ecc.); dall'altro, all'interno di una specifica organizzazione, affiancano l'attività di figure diverse e spesso si pongono in una situazione intermedia, più ravvicinata, fra queste e i clienti-utenti.
Il lavoro di un infermiere o di un educatore richiede competenze e abilità tecnico-operative specifiche del ruolo professionale, ma non può prescindere da consapevolezze e capacità relazionali che riguardano la dimensione interpersonale, di gruppo e istituzionale dei processi di lavoro.
Nella gestione quotidiana dei problemi l'infermiere o l'educatore devono sempre tener presente l'assetto istituzionale in cui operano.
Non si tratta solo del fatto che un dato contesto condizioni il modo di operare e le stesse modalità di relazione con i colleghi e con gli utenti, ma della necessità di declinare la propria funzione e il proprio ruolo rispetto alle caratteristiche specifiche di una certa istituzione.
Ciascun contesto è un ambito di intervento molto complesso e differente dagli altri e richiede di leggere il compito primario dell'istituzione con le dinamiche e le culture gruppali che ne derivano.
Sono da evidenziare alcuni elementi che possono aiutare le persone che svolgono queste professioni a osservare e conoscere l'istituzione in cui lavorano per rendere il proprio intervento più cooperativo, mirato ed efficace.

CHE COS'È L'ISTITUZIONE

L'istituzione è un'organizzazione che svolge un compito particolare in virtù di un mandato formale. È un complesso di persone e di beni organizzato sulla base di un insieme di norme, di procedure e di ruoli. Alla base vi è una sorta di delega da parte della società che assegna un compito importante per la sopravivvenza e la crescita delle persone.
L'organizzazione affida un compito importante ad un gruppo di individui e, nello stesso tempo, da a questi la possibilità di soddisfare alcuni bisogni a livello di:
- identità: essere autorizzati a svolgere un ruolo professionale
- appartenenza: l'istituzione è un grande gruppo specializzato che si articola in gruppi più piccoli e variati
- sicurezza: il confine istituzionale offre anche un contenitore che protegge la persona dall'esterno e dai vissuti interni di insicurezza e paura del futuro.
In passato, questa dimensione è stata enfatizzata nella visione burocratica dell'istituzione: esiste una forma razionale data a priori che può leggere in modo armonico individui e gruppi nella condivisione degli scopi comuni.
Vi sono dei modelli di lavoro dati ed è sufficiente che i membri dell'istituzione li rispettino per realizzare armonia, efficienza ed efficacia.
Negli ultimi anni diversi studi hanno evidenziato come vi sia una dimensione meno visibile influenzata da processi emotivi e psicologici, spesso inconsci, che sostanziano le interazioni professionali nell'istituzione.
I membri dell'istituzione devono gestire non solo dettagli e competenze tecniche, ma anche incertezza e ansia sul risultato finale.
I vissuti difficili sono incrementati da due elementi. In primo luogo l'oggetto da produrre è preteso e prescritto dalle norme che legittimano l'esistenza dell'istituzione e la nostra appartenza ad essa.
Un altro elemento di fatica emotiva è legato alla dimensione relazionale ineludibile nell'istituzione: agli operatori è richiesto di condividere il processo di lavoro con altri individui.
I gruppi non solo condividono informazioni e dettagli tecnici, ma anche una dimensione profonda e non intenzionale investita dalla difficoltà di accordarsi e accordare competenze ed esperienze professionali diverse per decidere fra diverse ipotesi, in vista di risultati mai del tutto prevedibili.
Queste dimensioni inconsce contribuiscono contribuiscono al clima sociale che percepiamo quando si entra in un'istituzione.
Per esclicitare l'interazione tra i due piani di funzionamento istituzionale, quello costruttivo e maturo, e quello più primario, denominato dall'ansia lavorativo, si passa a descrivere le dinamiche istituzionali, interpersonali e di gruppo che si possono comprendere alla luce di alcuni fattori in gioco:
- connessione e interdipendenza: tutti i modi in cui le persone fanno contatto tra di loro
- i confini: le persone e i gruppi quando si incontrano provano il bisogno di porre confini e distanze. L'efficacia di una relazione ha a che fare con confini non troppo rigidi, cioè con la capacità di mettere i confini e al tempo stesso di adattarsi ai confini posti dall'altro
- autonomia: quanto sostegno all'autonomia consente la relazione, quanto è possibile permettere e permettersi di esplorare problemi e soluzioni, spazi e tempi
- organizzazione del tempo e dello spazio: riguarda le scelte e le scansioni organizzative con cui vengono resi disponibili spazi più o meno confortevoli e tempi più o meno adeguati
- linguaggio: riguarda le parole e il lessico con cui ogni istituzione comunica significati e valori importanti.

IL COMPITO PRIMARIO DELL'ISTITUZIONE

Le istituzioni sono strutturate per raggiungere diverse finalità: curare, prendersi cura, custodire, insegnare, ecc...
Ad ogni istituzione è assegnato un compito primario fondamentale per la sua sopravvivenza.
La scuola, ad esempio, deve istruire così come l'ospedale deve curare, anche se, di fatto, all'interno dell'istituzione possono convivere altri compiti che vengono svolti per realizzare meglio quello primario.
Il compito primario dell'istituzione non può essere realizzato da una sola persona o attraverso una sola funzione professionale. Persone, parti e funzioni devono interagire al meglio. Molta importanza deve averlo il livello inconscio del compito. Prendiamo come esempio un ospedale.
I pazienti provano sentimenti contrastanti verso l'ospedale: da una parte, sollevo e speranza di ricevere cura; dall'altra, paura e diffidenza perchè il ricovero conferma la loro malattia e il bisogno di trattamento e bisogno.
Già a livello etimologico il termine "paziente" evidenzia aspetti di dipendenza e passività che devono essere accettati dal malato come condizione di cura.
Anche i familiari sono ambivalenti. Vivono il sollievo di affidare i propri cari a persone più competenti a prestare cure, ma al tempo stesso la situazione evoca un senso di persecuzione per la propria incapacità a prendersi cura di loro a casa.
Vi è il sollievo, ma anche il rimorso. In quanto figure front-line gli infermieri sono in trincea esposti direttamente all'incontro con le lamentele e le richieste ridondanti con cui pazienti e familiari esprimono in modo mascherato le paure e le ambivalenze legate alla malattia e al bisogno di cura.
Apparentemente si chiede di curare e far guarire il corpo, ma inconsciamente la società domanda agli operatori sanitari di accogliere e gestire i vissuti che pazienti e familiari portano con sè.
Consideriamo ora l'istituzione scolastica. La scuola deve istruire ed educare.
Ma il personale amministrativo e docente si ritrova parallelamente a ricevere una delega emotiva molto gravosa dai genitori e dalla società: occuparsi della paura che la prole resti inetta, incompetente e no sopravviva alle richieste dell'ambiente.
La scuola riceve non solo il mandato istituzionale di fornire agli allievi abilità e saperi ma anche il carico delle ansie dei genitori e della società preoccupati rispetto al futuro dei bambini e degli adolescenti.
In definitiva il compito primario dell'istituzione ha a che fare con la richiesta di sopportare emozioni e vissuti che altri non sono in grado di gestire.
In questo senso il lavoro dell'infermiere o dell'educatore non può esimersi dal contatto con le ansie che la società ha delegato all'istituzione attraverso il mandato normativo.

IL PERCORSO VERSO L'AUTONOMIA

Gli utenti portano nelle istituzioni dei bisogni di cambiamento e di autonomia, chiedono di essere aiutati a migliorare una situazione di limite.
Il malato vuole guarire o almeno poter convivere con la sua malattia in una condizione di minore dipendenza dai medici, dagli infermieri e dalle medicine, l'allievo deve diventare più competente ed evolutivamente più indipendente da insegnanti e genitori.
Le istituzioni, paradossalmente, mantengono la persona in una condizione di dipendenza e di passività che ne riduce notevolmente l'autonomia, laddove invece il sostegno all'autonomia è uno degli elementi che qualificano le buone relazioni interpersonali e di gruppo, nell'ambito familiare e istituzionale.
Consideriamo l'ospedale. È ancora attuale il resoconto citato in un testo che riporta i risultati di uno studio internazionale svolto da Barnes nel 1968.
Vediamo che sul piano delle cure tecniche l'ospedale funziona bene: vengono eseguiti gli esami necessari e lo stesso medico di famiglia è informato e può informare la paziente. Il disagio psichico di questa è preso in carico, offrendole un'assistenza medica che non avrebbe potuto trovare altrove.
Ma tutti gli altri aspetti che accompagnano il ricovero sono ignorati.
In particolar modo è ridotta l'autonomia della paziente che in modo automatico, e senza spiegazioni, viene posta sulla sedia a rotelle, spogliata dei suoi abiti e messa a letto. L'unico che ha una quota di autonomia è il famigliare che può porre domande, ma queste sono un disturbo, intralciano il lavoro e talvolta non ricevono risposta.
Da una parte, quando si è malati si tende a regredire e diventare bambini; dall'altra, gli stessi infermieri tendono ad enfatizzare il paziente trattandolo da bambino.
Questo aspetto è trattato più volte da Michael Balint.
Egli descrive ad esempio un consulto tra più medici che, l'uno dopo l'altro, esaminano il paziente e poi si ritirano in uno studio per continuare a discutere tra loro; "essi prendono una decisione per il paziente", mentre questo aspetta ansiosamente in un'altra stanza.
Più tardi "riappare" tutta l'èquipe medica e "il dottore più importante" comunica al paziente quello che è stato deciso. Spesso la ricerca dell'efficienza porta ad una sorta di burocratizzazione e ritualizzazione che spersonalizza il malato e ne riduce ulteriormente l'autonomia.
Così la relazione di cura diviene molto efficace, poichè non è possibile trattare tutti ala stessa maniera senza tener conto dei costumi e dei temperamenti specifici.
Balint ripete più volte che non basta fare buone diagnosi e prescrizioni adeguate.
Lo stesso trattamento medico può fallire se prescritto da certi medici, ma riuscire con altri. Quello che fa la differenza è la qualità della relazione che il medico, o l'infermiere, stabilisce con il malato. È importante ascoltare il paziente e noi stessi, vederlo e vederci come persone, mentre spesso ci si concetra sulla sua patologia fisica e sulle proprie competenze tecnico-operative.
La conseguenza è, spesso, quello di adottare modi spicci e frettolosi. Il problema del sostegno all'autonomia è molto importante nelle istituzioni psichiatriche dove non solo i pazienti ma anche i familiari dichiarano attraverso il ricovero la propria incapacità di gestire i problemi in modo autonomo a casa.
Il controllo e l'infantilizzazione dell'Altro è una modalità di difesa che possiamo ritrovare anche nelle istituzioni educative. Questo è un modo per aumentare la distanza relazionale ed evitare di incontrare le emozioni e il feed-back dell'altro.
I sentimenti legati alle difficoltà di apprendimento sono pericolosi e potrebbero contagiare il docente o l'educatore, farli sentire inadeguati e in difficoltà.
Se l'altro è reso piccolo, non può minacciare le sicurezze dell'educatore e può essere colpevolizzato come irresponsabile e incapace di crescita. D'altra parte, spesso, gli utenti colludono con questi stili che li passivizzano.
Ad esempio, modalità di controllo nelle istituzioni psichiatriche o terapeutiche e ri-educative possono essere inconsciamente apprezzate dai malati p dai residenti perchè li proteggono dal sentire in modo troppo consapevole, e perciò doloroso, le proprie difficoltà fisiche e psicologiche.
Anche a scuola gli allievi preferiscono spesso un insegnamento trasmissivo e routinario che non espone alle difficoltà e alle incertezze di un metodo più socratico o, come si dice oggi, basato sul problem solving, che li esporrebbe all'incertezza e all'ansia di cimentarsi con la ricerca di soluzioni creative e personali.

I MECCANISMI DI DIFESA

A questo punto ci si può domandare cime sia possibile che persone adulte, competenti e normalmente motivate, non riescono a monitorare tali processi istituzionali così paradossali e disfunzionali.
Per rispondere, è necessario mettere in luce l'influenza che alcuni meccanismi di pensiero molto primari hanno nelle istituzioni.
Vari autori evidenziano che l'attività istituzionale sollecita negli individui quei procesi psichici primitivi e prelogici che dominano le prime fasi evolutive.
In particolare, vi è un parallelismo fra i meccanismi di difesa individuali e i processi di lavoro nelle istituzioni.
In altre parole, ci si confronta con conoscenze, competenze, procedure ma anche con il proprio mondo interno.
Questo non è la fotocopia della realtà e della storia del soggettoì, ma una sorta du software che memorizza e connette in modo evolutivo i dati sensoriali e le memorie consce e inconsce.
Non si tratta di semplici fotocopie ma di scene vive e in movimento, che mettono in gioco nella mente adulta immagini e fantasie infantili, spesso non oggettive e non razionali. Ovviamente, tutte le esperienze, anche quelle scolastiche e lavorative, forniscono nuovi elementi narrativi, nuove scene, ma in gran parte sullo schema delle prime. Personaggi e copioni formano gli oggetti psichici interni che funzionano come strutture emotive e cognitiche perchè, da una parte, le esperienze vengono percepite e conosciute alla luce della realtà interna, che prevale in un certo momento, e si modificano; dall'altra, il mondo interno viene influenzato dalal qualità effettiva delle relazioni che si legano al mondo esterno.
Questa osmosi dinamica tra aspetti adulti e aspetti infantili, fra emozione e ragione riguarda i membri dell'istituzione e l'istituzione stessa come grande gruppo.
In particolare perdura l'azione dei meccanismi di difesa primari con i quali i soggetti tentano di evitare il contatto con i sentimenti di disagio e incertezza.
Può essere utile guardare più da vicino tali meccanismi psichici che impediscono spesso di percepire in modo realistico i problemi lavorativi e influenzano decisioni e azioni professionali incoerenti, inefficaci e a volte dannose.
scissione: entra in gioco quando il professionista, per difendersi da vissuti di inadeguatessa, paura o impotenza, alllontana da sè ogni tipo di emozione. La conseguenza organizzativa è una ritualizzazione dei compiti che solleva dall'incertezza e dalla responsabilità di prendere decisioni
proiezione: le sensazioni cattive con cui si sperimenta il disagio lavorativo vengono proiettate sull'esterno, sugli utenti e i loro familiari, i superiori e i colleghi diventano dei colpevoli, dei persecutori, sentiti come scomodi e limitanti compagni di viaggio o repliche di antichi genitori sadici che si opprimono o possono danneggiarci negazione: viene usata in quelle situazioni nelle quali è impossibile sfuggire a certe sensazioni dolorose profenienti dall'esterno e porta a ignorare i sentimenti propri e altrui, a non vedere alcuni dati di realtà, a capovolgere i fatti
rimozione: processo psichico che nelle istituzioni funziona come omissione.
Si tratta di un fenomeno individuale ma anche interpersonale, poichè qualcosa è lasciato fuori dal dialogo tra le persone. Come dice Bion "noi possiamo diventare mentalmente assenti quando non ci piace quello che sta dicendo il paziente"
identificazione: un certo livello di identificazione è necessario ad infermieri ed educatori per comprendere i sentimenti e il disagio della persona a cui si offre il servizio. Il rischio è quello di un'identificazione eccessiva che può danneggiare l'utente. Identificandosi troppo con l'utente, l'operatore si difende dai sentimenti di ansia e di impotenza. In realtà le relazioni terapeutiche ed educative devono essere empatiche e compartecipi, ma per certi aspetti sempre asimmetriche. L'operatore non può spogliarsi della responsabilità professionale confondendosi con l'utente regressione: è un processo che si può riconoscere soprattutto nelle istituzioni sanitarie od educative e terapeutiche dove è necessario che l'utente accetti di dipendere dai membri dell'istituzione per poter trarre beneficio dagli interventi messi in atto. Ad esempio, una certa quota di regressione è utile al malato per affidarsi al medico e agli infermieri e trarre beneficio dalle loro cure. Ma, come sottolinea Balint a proposito del medico, occorre sempre sapere fino a che punto sia opportuno consentire all'altro di regredire ad uno stato di passività e dipendenza.
In definitiva, per difendersi dalle ansie e dalle aspettative degli utenti e della società, i membri dell'istituzione mettono in atto componenti e prassi apparentemente razionali ma che possono rendere meno produttivo il lavoro.
Le tecniche di difesa sono, in una certa misura, inevitabili: da un lato, le persone utilizzano gli impegni istituzionali per difendersi da ansie e fragilità personali; dall'altro, le ansie e le difficoltà psichiche del personale non diventano così insopportabili da impedire il lavoro.
Conoscere questi aspetti del funzionamento istituzionale è importante.
La consapevolezza può aiutare a riconoscere la nostra tendenza ad agire processi difensivi sul lavoro, motivandoci a cercare un maggior contatto con noi stessi e con i nostri sentimenti per evitare comportamentio incoerenti, ripetitivi e falsamente facilitanti.

STRUTTURA E CULTURA

Come è stato sottolineato da Elliott Jaques una struttura ben organizzata è indispensabile per il buon finzionamento dell'istituzione.
L'autorità è definita e coincide con la responsabilità e il numero delle persone disponibili è adeguato al compito.
La struttura può rendere più espliciti i rapporti di lavoro tra colleghi e con la leadership e quindi può contenere e mitigare la diffidenza e l'ambivalenza che l'individuo porta con sè nelle istituzioni.
In pratica, certe strutture possono rendere l'istituzione meno sana perchè stimolano atteggiamenti di persecuzione, di noncuranza o rassegnazione.
Organici insufficienti, turni faticosi, deleghe confuse e autoritarismo minano la stessa leadership, incrementano lo stress e assenteismo, riducono i tempi e gli spazi di confronto o trasformano le riunioni in vuoti rituali.
Qui entrano in gioco le reazioni psicologiche individuali che si assestano su base collettiva e diventano la cultura dell'istituzione, cioè il suo modo collettivo di percepire, sentire, pensare e decidere: una sorta di equivalente sociale di quello che in genere viene descritto come il carattere individuale. La struttura gerarchica delle istituzioni ospedaliere e residenziali può essere vista come la base indispensabile di un sistema chiaro e definito di mansioni e autorità; ma nella cultura ospedaliera può favorire un sistema di dipendenza e permettere la suddivisione delle cure in compiti parcellizzati, ripetitivi o burocratici che, a volte, rispondono più al bisogno inconscio degli operatori che non al benessere dei pazienti.
Per gli infermieri può essere meno stressante lavorare in modo tale da tenere una distanza emozionale dai pazienti e dai loro vissuti.
Questo consente di dare con competenza tecnica le cure mediche necessarie, ma forse fa perdere di vista altri aspetti importanti in ogni relazione umana.
In senso inverso, spesso gli educatori tendono ad identificarsi troppo con le aspirazioni e il disagio degli utenti confondendoli con le loro stesse sofferenze e aspirazioni.
In tale prospettiva, la cultura di un'aspirazione è influenzata da meccanismi difensivi primari.
Ma accanto a questi funzionano meccanismi psichici più regolativi e maturi che rafforzano le capacità di relazione, di responsabilità e di cura per gli altri.
Possiamo vedere questi diversi meccanismi come due polarità del funzionamento istituzionale lungo un continuum mentale e professionale.
Situazioni di riorganizzazione istituzionale e di difficoltà sociale o gestionale cambiano anche l'assetto emotivo dell'istituzione.
Individui e gruppi possono quindi essere spinti verso la polarità difensiva.
In momenti di buon equilibrio sociale e gestionale prevale, invece, quella che lo psicanalista Giuseppe Di Chiara chiama cultura della cura e delle responsabilità sostenuta da meccanismi psicologici più maturi.
Uno di questi è l'interazione intesa come modalità costruttiva di utilizzare competeze, risorse e valori diversi per porsi in rapporto con la lealtà, con attenzione e disponibilità all'ascolto. I meccanismi di integrazione sviluppano capacità relazionali di continuità, di rispetto e di comprensione e riducono le scissiomi e le proiezioni, producendo così condizioni favorevoli.

I GRUPPI NELL'ISTITUZIONE

Un'altra quota del carico emotivo che l'individuo affronta riguarda il lavoro di gruppo.
All'interno di ogni gruppo deve essere condivisa l'attività istituzionale e con questa anche le ansie ad essa collegate.
La complessità del compito primario chiede che questo sia ripartito in funzioni e obiettivi secondari assegnati non solo a diverse persone, ma a differenti gruppi e sottogruppi.
Ciò significa che i gruppi non sono mai omogenei al loro interno: le istituzioni sono composte da un certo numero di professionalità a cui viene assegnata una parte differente del compito istituzionale e, con quella, un particolare insieme di sentimenti e di punti di vista, cioè un diverso compito emozionale.
Non si tratta solo di condividere la gestione dei problemi operativi ma anche di accordare modi di sentire, di vedere e di pensare diversi.
È utile, quindi, riportare degli esempi relativi ad istituzioni differenti. Il primo si riferisce ad uno studio pilota condotto da Miller e Gwynne su delle istituzioni residenziali per portatori di handicap fisici e giovani cronicamente malati.
Queste case accolgono persone che non guariranno mai, ma che potranno vivere ancora a lungo.
Il compito comune a ciascuna istituzione era quello di creare per i loro ospiti una vita il più possibile normale.
In realtà il compito emotivo assegnato dalla società era quello di gestire l'ansiainsita nell'occuparsi di disabili fisicamente vivi ma socialmente morti. In genere è difficile esplicitare un compito così penoso; in tal caso, gli operatori ricorrevano a meccanismi di scissione e proiezione.
Da una parte il personale medico ed infermieristico riduceva i residenti ad oggetti. Gli educatori e i terapeuti si identificavano con il modello serra: il focus è la riabilitazione ma il disabile viene visto come potenzialmente produttivo. Il problema era che entrambi i gruppi evitavano il compito emozionale, ma così incarnavano, in modo unilaterale e quindi irrealistico, atteggiamenti e valori divergenti. Era così evitato il compito emozionale di modulare le speranze e le delusioni legate a questo equilibrio sempre instabile e provvisorio.
Più i gruppi sono grandi, più il compito è complesso e più è difficile mantenere dialogo e coesione.
Il bisogno condiviso fra i membri del gruppo è, da una parte, quello di cooperare per raggiungere l'obiettivo assegnato; dall'altra, quello di evitare uno scambio autentico con gli interlocutori, anche per non affrontare eventuali divergenze o disaccordi che incrementerebberole ansie già insite nel lavoro. Non è solo un fenomento individuale. Nel gruppo al lavoro si costituisce una mente collettiva. Al di là della struttura organizzativa, in alcuni momenti, la mente dei gruppi è una mente piccolina che fa molta fatica ad elaborare le ansie e le frustrazioni.
Diversi studi ed esperienze clinico-formative hanno mostrato che il gruppo può essere soggetto a disordini di pensiero molto simili a quelli dei pazienti psicotici.
In generale, la capacità di pensiero e di decisione in un gruppo sono, per così dire, inversamente proporzionali al numero dei suoi membri.
Più grande è il gruppo, più è ridotta la capacità di contenere le ansie istituzionali evocate dalla riflessione e dal confronto sui dati a disposizione.
W. R. Bion ha analizzato le due dimensioni del gruppo. Chiama gruppo di lavoro quella consapevole e costruttiva che unisce i membri disposti a confrontarsi e ad analizzare i problemi con mezzi razionali.
Per preservare questa dimensione il gruppo tenta di stabilire regole procedurali, una struttura amministrativa riconoscibile e stabile ma flessibile ed efficace.
L'altra dimensione psichica, sempre compresente in ogni lavoro di squadra, è caratterizzata da quegli schemi difensivi e distruttivi che sabotano la collaborazione nel gruppo.
Le distonie e le incongruenze organizzative si ricollegano a quest'aspetto dell'istituzione: le regole diventano ambigue; vi è molto assenteismo e turn-over; i compiti vengono standardizzati e prevalgono i rituali.
In particolare Bion individua tre strategie inconsce difensive e le definisce Assunti di base. Si tratta di modalità psichiche inconsapevoli che gli individui mettono in atto nei gruppi istituzionali: accanto al compito dichiarato vi è un altro fine nascosto che porta ad evitare le ansie e l'incertezza legate all'analisi e alla valutazione comuni dei problemi di lavoro.
Gli assunti di base sono: - quando prevale l'assunto di base di Dipendenza, il team soddisfa il bisogno di mantenere la coesione minacciata dal confronto grazie ad una sorta di fiducia magica nella capacità di uno dei membri che diventa il leader. La comunicazione diviene in realtà un monologo e se qualcuno prova a presentare un punto di vista diverso da quello espresso dalleader non è preso in considerazione o suscita reazioni aggressive.
Come ci hanno dimostrato le vicende della Germania nazista, dove l'identificazione con il capo infallibile ha portato alla sconfitta. Non è produttivo evitare il confronto, e il pericolo di conflitto, nè all'interno di gruppi, nè fra gruppi di diversa professionalità. La qualità del lavoro dipende dal collaboratore inteso come "cum-laborare" cioè come condivisione non solo dell'opus ma anche del labor, termine latino che indica gli aspetti profondi del lavoro.
- assunto di base lotta-fuga. Nella vita e nelle istituzioni non sempre i problemi possono essere risolti; alcune malattie e difficoltà evolutive sono incurabili, o intollerabili per la capacità di pensiero e di azione di cui disponiamo. Ecco che si slitta sull'assunto di base Lotta-fuga, si amplifica la tendenza a cercare un colpevole, un nemico interno o esterno al gruppo di appartenenza. L'obiettivo lavorativo è messo sullo sfondo e i membri dell'istituzione si attardano a sottolineare le conseguenze nefaste delle decisioni dei politici, l'inettitiudine dello staff dirigenziale, l'inefficienza di questa o quella componente professionale. La paura di non condividere punti di vista e scelte di fronte ad un compito troppo difficile e ansiogeno viene dirottata fuori dal gruppo: si presenta così la coesione e la pace ma si evade il compito.
- l'assunto di base di accoppiamento, invece, esprime la speranza che, nello stesso gruppo, sia contenuta una coppia i cui prodotti garantiranno la sopravvivenza. Quando prevale questo assunto, il gruppo assiste passivamente al dilungarsi della discusisone tra una coppia di membri, come se da questa discussione potesse emergere qualcosa, un'idea, un'ipotesi, che salverà tutti dall'incertezza.
L'accoppiamento può essere anche tra un membro del gruppo e una teoria o una circolare ministeriale. Nel partecipare alla vita di un'istituzione, dobbiamo tener presente il doppio registro che caratterizza il lavoro per bilanciare la dimensione costruttiva del gruppo con quella difensiva degli assunti di base che, se preponderanti, producono irrealtà, scissione, ostilità, sospetto e altre forme di comportamento disadattivo.

IL RUOLO E I CONFINI

Nelle istituzioni il ruolo ha una dimensione data, c'è un testo da rispettare uguale per tutti.
Allo stesso tempo, però, vi sono elementi che caratterizzano diversamente il modo di interpretare lo stesso ruolo. Ogni ruolo è svolto con stili e modalità personali differenti legate al mondo interiore del soggetto.
È importante tener presente la nozione di confine dell'istituzione come un contenitore disegnato da un particolare insieme di norme, funzioni, regole e procedure che, da un lato, definiscono l'ambito esplicito, consapevole e razionale; dall'altra, disegnano un campo emotivo pregno delle ansie legae al compito primario. È noto che il nostro modo di comunicare e di comportarci dipende dal modo in cui percepiamo la realtà, cioè dal nostro mondo interioree anche dal ruolo che svolgiamo.
La qualità del confine, la sua maggiore o minore permeabilità, può facilitare o impedire il passaggio di informazioni e di dialogo tra i diversi ruoli professionali e i diversi gruppi, non solo sulla frontiera estrema dell'istituzione ma anche, al suo interno, fra i diversi gruppi e le commissioni al lavoro.

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