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Cinema italiano anni Settanta. Crisi della speranza


Il cinema italiano all’estero detiene il rispetto per quello che è stata la sua tradizione ma i suoi migliori autori cominciano ad emigrare all’estero. La rivolta contro i padri che mai era esplosa in precedenza si riconosce con l’esordio di Nanni Moretti con Io sono un autarchico nel 1976, il cinema è talmente diverso da sbarazzarsi del patrimonio e delle lezioni dei padri: possiede un senso di sé talmente alto da dare l’impressione di voler rifondare le regole del fare registico. Si denota il suo fortissimo individualismo e l’impossibilità di riconoscersi nei furori sessantottini o qualsiasi identità comunitaria affermando la propria autorialità fin da subito.
Fellini negli ultimi quindici anni porta i protagonisti a prendere atto del vuoto, del senso di dispersione si denota una sorta di gigantismo attraverso la dilatazione delle figure nello spazio.  Tuttavia i La città delle Donne, Ginger e Fred, La Voce della Luna e La nave va si registra già il progressivo stendersi di un velo funebre.
In Bertolucci invece il paesaggio diventa lentamente protagonista, con Novecento si affermano le doti dell’autore di narratore epico. E’ uno dei pochissimi registi che può ancora confrontarsi sul piano internazionale ottenendo anche il riconoscimento dell’oscar. Bertolucci è si confronta con l’america attraverso la rappresentazione delle grandi storie, con L’ultimo imperatore (1987) e piccolo Buddha (993) Con il tè nel deserto narra la storia d’un viaggio alla scoperta di sé e ripropone con Io ballo da sola (1996) uno guardo nuovo e meno distaccato e contemplative la vita di una comunità di americani nelle colline toscane.
A metà degli anni settanta muoiono De Sica, Visconti, Rossellini, Germi, Pasolini, Petri e Pietrangeli. Negli anni della sua presidenza, Rossellini aveva distrutto gli elementi forti del centro sperimentale, in quanto non crede nella necessità della trasmissione delle conoscenze e nel cursus formativo, gli aspiranti registi devono trovare dentro di sé la luce. Il centro aveva dunque subito una forte svalutazione istituzionale, dei diplomati negli anni settanta solo in pochi raggiungono vera visibilità. Si tenterà di imitare Moretti, cioè di avvicinarsi al cinema senza apprendistato scolastico. Il più fecondo laboratorio di idee e ricerca degli anni settanta è Ipotesi Cinema che fornisce un modello forte per gli aspiranti registi. Il 68 ha costituito quasi un limite, dagli anni settanta non c’è più una ricerca verso nuovi orizzonti, di trasgressione. Nascono cooperative di filmmakers come Studio Azzurro e nascono festival indipendenti con la funzione di costituire i punti di riferimento fondamentali per la nuova generazione di autori italiani.

Tratto da STORIA DEL CINEMA ITALIANO di Asia Marta Muci
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