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Disturbo dissociativo dell'identità


Esordisce nell'infanzia, ma viene diagnosticato nell'età adulta, il recupero può non essere completo, è più frequente tra le donne. Comorbilità con DPTS, depressione, abuso di sostanze, fobie, disturbi sessuali e il disturbo di somatizzazione. E' spesso accompagnato da cefalee, allucinazioni, tentativi di suicidio e comportamenti autolesivi, oltre a, ovviamente, amnesie e depersonalizzazione.
Diagnosi:
*Presenza di due o più identità o stati di personalità (alter-ego o alter).
*Almeno due di queste identità assumono in modo ricorrente il controllo del comportamento della persona.
*Incapacità di almeno una di queste identità a ricordare importanti informazioni personali.
*I sintomi si presentano cronicamente.
*Modello post-traumatico: il disturbo si stabilisce nell'infanzia, in conseguenza di gravi abusi fisici o sessuali, in soggetti con particolare predisposizione.
*Modello sociocognitivo: il disturbo è il risultato di un apprendimento alla rappresentazione di ruoli sociali (il DDI potrebbe svilupparsi anche in seguito ad una terapia, o a causa dell'influenza dei media).

E' possibile che le persone adottino una seconda personalità, quando la situazione lo richiede. I pazienti con DDI non manifestano deficit in alcune forme di memoria implicita. Molti sintomi del DDI emergono dopo l'inizio della terapia (i pazienti, ad esempio, non sono coscienti della loro personalità multipla, finchè il terapeuta non la mette in evidenza).


Trattamento

Atteggiamento improntato a empatia e gentilezza, finalizzato ad aiutare il paziente a funzionare come personalità integrata. Bisogna convincere il paziente che la scissione in personalità differenti non è più necessaria per far fronte ai traumi subiti. La psicoanalisi è la tecnica preferita: ipnosi con regressione temporale, tecnica usata per risalire a eventi traumatici infantili. Altri pensano che sia meglio usare le stesse tecniche usate per il DPTS. Il DDI presenta comorbilità con l'ansia e la depressione, che possono essere alleviate da terapie farmacologiche con antidepressivi o ansiolitici.

Tratto da PSICOLOGIA CLINICA di Alessio Bellato
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