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Bergson e l'immagine-tempo


La riflessione sull’immagine-tempo si basa sulla concezione di “tempo” di Bergson, che distingue “kronos” (non linearità) e “chronos” (linearità), e l’immagine-tempo rappresenta il kronos, il tempo non lineare, nel cristallo, in cui il tempo si fa visibile mediante la coalescenza, un’aggregazione di elementi più vasta della loro somma; si ha una coalescenza di presente attuale e passato virtuale, di tempo che passa e tempo che si conserva, e così si supera la distinzione oggettivo – soggettivo; nel cristallo il tempo è soggetto a continua scissione e coesistenza, e si ha un’immagine reciproca del soggetto che si specchia, mentre il tempo si scinde in presenti e passati che però coesistono in modo indiscernibile; il tempo è perciò “coesistenza”, “conservazione” e “scissione”, ed il passato non è più “ex-presente”, ma “passato che permane”. Bergson intende superare la dicotomia soggetto – oggetto attraverso l’eliminazione di quella immagine – materia, ricondotta ad un mondo di immagini; il tempo bergsoniano sfugge sia all’esteriorità fisica che all’interiorità psicologica, ed è la “grande soggettività”; l’interiorità viene pensata come esteriorità, luogo in cui il soggetto abita, e l’esteriorità come interiorità, spazio della virtualità soggettiva, e rimemorare è collocarsi entro questa grande soggettività, che unisce ossimoricamente interno ed esterno, ed il cinema in Deleuze è l’icona di questo tempo, come per "Solaris" di Tarkovskij.

Tratto da SEMIOLOGIA DEL CINEMA di Massimiliano Rubbi
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