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Il dilemma della maternità in Ellen Key

Un aspetto fondamentale della sua teoria riguarda la questione del rapporto donna/maternità. La maternità veniva esaltata come tratto peculiare del femminile; si insisteva sulla valenza non soltanto biologica, ma soprattutto culturale, riconoscendo che la sensibilità per ciò che ha bisogno di aiuto ed è debole non fosse una qualità presente in tutte le madri.
La maternità doveva configurarsi non come un destino naturale, un dovere da compiere con pasiva accettazione, ma quale esito di una scelta libera e consapevole.
Non negava alla donna nubile il diritto alla maternità, ma si opponeva con fermezza all’utilizzo strumentale dei diritti altrui al fine di generare a tutti i costi un figlio.
Non è infatti giusto che una donna privi con coscienza e volontà un bambino del diritto di ricevere la vita con amore e che lo escluda della tenerezza paterna; è un atto di egoismo che la donna non può commettere impunemente.
In primo piano vi era anche la battaglia volta ad eliminare ogni disparità discriminante tra figli legittimi e illegittimi.
Oltre all’attenzione per la maternità biologica, nel volume “l’amore e il matrimonio” si affrontava la dibattuta questione della maternità sociale.
La questione femminile si rivelava per lei inseparabile dalla questione sociale,nel mettere finalmente la “giustizia” al posto della “carità”. La scrittrice era inoltre convinta che dedicarsi anima e corpo per alleviare le sofferenze di tanti infelici, come adottando fanciulli abbandonati per educarli e amarli occorressero doti non comuni. Madre sociale poteva essere definita colei che sentisse in se ciò “che la fa piangere per i bambini che non ha avuto”.
La Key  aveva dedicato molti anni della sua vita a promuovere conferenze in tutta europa, ascoltata da vaste platee  femminili per discutere con loro di arte, filosofia e etica.
La ricerca della felicità per lei consisteva nella piena realizzazione in bellezza e in armonia di tutte le facoltà fisiche e mentali.
La Key rivelava l’influenza delle teorie di Ruskin e di Morris per una concezione democratica, non elitaria della cultura artistica. Affermava il valore sociale dell’arte e la sua valenza pedagogica, così che la fruizione estetica era considerata un efficace antidoto contro la degradazione e la disgregazione della personalità umana. Infatti vivere in un ambiente bello e curato rendeva più felici e migliori. La povertà e la volgarità andavano combattute a partire dalla dimora familiare, eliminando tutto ciò che risultasse scomodo, poco funzionale e brutto.
Si trattava di un esigenza percepita anche nel nostro paese in quegli anni, come dimostrano alcuni interventi nei congressi femminili che sottolineano la necessità di educare le donne di ogni ceto sociale a una concezione estetica della vita, rinnovando gli ambienti domestici e rendendoli più funzionali alle nuove esigenze del lavoro femminile.
Ellen Key aveva focalizzato l’attenzione sulla profonda scissione tra sfera pubblica e privata, vissuta dalla coscienza femminile.
La scrittrice sosteneva che qualora la donna avesse scelto la maternità doveva assumersene ogni responsabilità fino in fondo, non mettendo in pericolo la vita del nascituro per condizioni di lavoro eccessivo e neppure abbandonandolo precocemente.
Ella avanzava quindi l’idea di sussidiare le madri che si dedicavano all’educazione dei figli nei primi anni di vita; tuttavia non pensava ad un ritorno della donna all’interno delle mura domestiche, privandola della sua autonomia, ma potendo essere remunerata per un’opera ritenuta così importante per il bene comune.

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