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Le leggi contro gli ebrei e la società italiana


Dal punto di vista psicologico, una delle osservazioni nelle quali ci si imbatte con maggiore frequenza è la testimonianza e la constatazione che la quasi totalità degli ebrei fu colta dalla campagna razziale quasi di sorpresa, come se si trattasse di un fulmine a ciel sereno.
Gli organismi dirigenti dell'Unione non percepirono pienamente a portata della lesione che veniva inferta allo statuto giuridico degli ebrei; prevaleva l’illusione che i limiti posti ai diritti degli ebrei potessero essere di carattere transitorio, un semplice omaggio alla congiuntura internazionale.
Alla metà del 1938 l’allarme per gli ebrei doveva essere evidente.
Le conseguenze immediate per gli ebrei furono, aldilà dello sbigottimento, un senso di solitudine e, via via che il tempo passava e le norme diventavano realtà anche ella vita quotidiana, di isolamento.
Il settore nel quale fu più immediatamente visibile l’effetto della persecuzione fu il settore della cultura e della scuola.
Vi fu il licenziamento di tutti gli insegnanti ebrei e gli alunni ebrei non potettero più frequentare la scuola, motivo per cui molte famiglie di ebrei si videro costrette ad emigrare per poter garantire ai propri figli un livello d’istruzione superiore.
All’interno dell’università furono modificati i programmi didattici che assunsero un chiaro taglio razzista..
Il livellamento culturale fece parte integrante del processo di omogeneizzazione della società, fu tra i canali dell’integrazione  sempre più passiva in un sistema preordinato dall’alto e dall’acquiescenza collettiva. A molti ebrei non rimase dunque che emigrare.
Una valutazione sull’impatto che le leggi contro gli ebrei volute dal fascismo ebbero sulla società italiana, non può prescindere dal prendere in considerazione l’atteggiamento che di fronte a esse assunse la Santa Sede.
La concezione dello Stato e in particolare le tendenze corporative e la condanna della lotta di classe avevano spianato la strada a una forte convergenza di idee e di obiettivi con una Chiesa fortemente autoritaria e gerarchizzata. Nelle file dello stesso cattolicesimo non mancavano i fautori di un antisemitismo estremo sino alla prefigurazione di soluzioni estreme.
Nell’estate del 1938, in preparazione delle misure contro gli ebrei, era chiaro che il regime aveva interesse a premunirsi sul versante della Chiesa garantendosi se non il consenso quanto meno la non opposizione alle eventuali misure discriminatorie.
Ancora alla fine di Luglio, il papa Pio XI aveva ribadito l’ostilità della Chiesa al razzismo con riferimento esplicito agli sviluppi nella Germania nazista ma indirettamente anche nell’Italia. A metà agosto, nel quadro di un accordo più complessivo con la Santa Sede, il governo fascista rassicurò pubblicamente la Santa Sede sulla moderazione degli orientamenti del regime, richiamando del resto in forma subdola e strumentale i precedenti della politica ecclesiastica. (“Gli ebrei possono essere sicuri che non saranno sottoposti a trattamento peggiore di quello usato loro per secoli dai Papi”).
La Santa Sede non espresse alcuna protesta per l’emanazione delle leggi, si preoccupò viceversa di far si che dalle sue conseguenze fossero esclusi gli ebrei convertiti, mettendo così l’accento sulla questione religiosa.

Tratto da IL FASCISMO E GLI EBREI di Antonino Cascione
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