Skip to content

Stabilire contatti terapeutici


Appena il terapista comprende che la famiglia si sente più a suo agio, chiede quali problemi l’hanno portata in seduta. La risposta della famiglia è di per sé un’indicazione di come la famiglia negozia i propri confini col mondo esterno e anche di ciò che essa vuole proiettare come immagine: la famiglia si comporterà secondo modalità “ufficiali”. Una famiglia con confini deboli può cominciare immediatamente a coinvolgere il terapista nei propri conflitti e nelle proprie lotte, altre famiglie si proteggeranno.    
Di solito, la prima domanda del terapista è posta in termini generici e non è chiaramente diretta in particolare a nessun membro della famiglia; ma può anche decidere di rivolgere la sua domanda a una persona specifica.    
Poi il terapista comincia a estendere i suoi contatti. In una famiglia compatta comincia a coinvolgere l’altro coniuge. Presta particolare attenzione alle somiglianze e alle differenze con le quali ciascun genitore presenta i problemi. Ben presto il terapista può trovarsi in mezzo a un conflitto tra coniugi.    
La mossa successiva dipenderà dalla sua valutazione della famiglia. Può permettere o perfino incoraggiare il conflitto tra i genitori, sviluppandolo come strategia per togliere al figlio l’etichetta di “problema” e per esplorare un possibile sottosistema disfunzionale. Deve però stare attento a non toccare zone di tensione prima che il sistema terapeutico si sia sviluppato al punto da permettergli di sostenere i componenti della famiglia che sono sotto tensione. Se tale conflitto tra i coniugi si manifesta troppo presto nella prima seduta, il terapista può registrarlo come campo d’esplorazione futura e spostare l’attenzione su un altro membro della famiglia.    
Il terapista ascolta il contenuto della presentazione del problema fatta dalla famiglia, ma osserva, nel contempo, il modo in cui la famiglia si comporta. Su un piano non verbale essa è meno controllata e il suo comportamento probabilmente è più simile al modello abituale.    
Dopo che il terapista ha ottenuto la presentazione del problema da parte dei genitori, chiederà l’opinione di un terzo membro. Generalmente questo non dovrà essere il paziente designato perché se i genitori si sono concentrati su un figlio come problematico, quel figlio è in posizione difensiva. Se il terapista lo contatta può pensare che il terapista si stia associando e stia accettando la coalizione che scaglia il biasimo su di lui. Contattare per primo un altro membro della famiglia può consentire l’apparizione di un diverso punto di vista del problema, e aprire così un nuovo settore di problemi familiari.    
A un certo punto, il terapista dovrebbe stabilire un rapporto con ciascuno  dei componenti presenti della famiglia, inclusi i figli minori. A un bambino piccolo si può non chiedere di presentare il proprio punto di vista riguardo al problema, ma il terapista può scambiare alcune parole e gesti affettuosi con lui, facendogli sentire in tal modo che fa parte della seduta.    
E’ importante che ciascun componente senta di partecipare  insieme al terapista all’esplorazione del problema.

Tratto da FAMIGLIE E TERAPIA DELLA FAMIGLIA di Antonino Cascione
Valuta questi appunti:

Continua a leggere:

Puoi scaricare gratuitamente questo appunto in versione integrale.