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L'equilibrio politico nelle "Storie" di Tucidide

Nelle Storie l’equilibrio appare nella sua manifestazione più elementare = non essere alla mercé del più forte ⇒ ulteriore prova del costante bisogno di sicurezza. 
NB: Questo tentativo viene attuato attraverso stirpi e regimi = non c’è alcuna affinità ideologica o etnica necessaria per stringere un’alleanza. Anzi, Stati con regimi simili quali Siracusa e Atene si combattono tra loro, mentre il vincolo etnico o è un pretesto o non costituisce affatto un vincolo (nella campagna in Sicilia si trovano Dori e Ioni in entrambi gli schieramenti). Alle origini delle alleanze c’è semplicemente un nemico comune. 
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Gli allineamenti (= la manifestazione più tipica della politica dell’equilibrio) avvengono semplicemente sulla base dei rapporti di forza. 

Giudicando l’esperienza greca, potremmo riassumere nel seguente mode le funzioni svolte dalle alleanze, funzioni che spesso appaiono non come esclusive ma complementari: 
− aggregazione di forze 
− controllo degli alleati: fin dall’inizio delle Storie si ricava questa idea: in questo momento, (gli Ateniesi di Temistocle) ritenevano più sicuro per la propria città possedere una cinta murale, che più avanti avrebbe certo mostrato la propria utilità non solo per i cittadini d’Atene ma per tutti i loro alleati. Non era concepibile infatti di risolversi in futuro a qualche impresa comune, cui tutti partecipassero in condizioni di assoluta parità, se non si disponeva, fin dal principio, di potenziali bellici equivalenti (I.91) ⇒ un qualche equilibrio di potenza è necessario non solo tra rivali, ma anche tra gli alleati. Soltanto se si ha un potenziale bellico equivalente si può pensare ad una qualche impresa comune nel vero senso del termine. 

Di certo, però, le alleanze ateniese e spartana non sono alleanze tra pari, ma contengono meccanismi basati in primo luogo sui rapporti di forza: i leader e gli alleati hanno funzioni molto diverse. I 2 leader, infatti, devono contenere il nemico comune, mantenere la coerenza della propria coalizione, attraverso la minaccia di punizioni o la promessa di ricompense, controllare l’organizzazione e le attività militari dell’alleanza (quello che oggi viene definito “monopolio del comando militare”, segno forse più inconfondibile di alleanze asimmetriche), riscuotere il contributo finanziario per la difesa comune. 
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In questo modo, gli alleati minori devono rinunciare di fatto alle loro prerogative e, in particolare, al loro diritto autonomo di stabilire pace e guerra. 
Questo però non significa necessariamente sfruttamento, almeno finché esiste il nemico comune: infatti, la crisi dell’alleanza ateniese coincide con la scomparsa della minaccia persiana, in seguito alla quale si assiste alla trasformazione dell’alleanza in impero. 
− timore dell’alleato: è il caso dell’alleanza tra Sparta e la Persia, nata dal fatto che Tissaferne temeva più Sparta che Atene. 
La stabilità di queste alleanze, nate in funzione di un nemico comune, dipende dal nesso delineato da Hobbes tra obbedienza e protezione: l’alleato minore obbedisce perché è protetto, l’alleato maggiore protegge perché è obbedito. 
Negli scritti di molti scienziati politici e policymakers, è sorto un dibattito circa la natura delle alleanze e il modo in cui gli Stati rispondono ad un egemone emergente. Questo dibattito è sintetizzabile con 2 termini: 
− balance = gli Stati scelgono i propri alleati per proteggersi contro la principale minaccia. 
− bandwagon = gli Stati “saltano sul carro” della grande potenza più minacciosa, aiutandola, a spese dell’equilibrio di potenza. 

Questo dibattito ha notevoli implicazioni sia per lo studio delle politiche estere contemporanee sia per lo studio della storia: 
− se gli Stati, in generale, adottano una politica di bandwagon verso un aggressore ⇒ una potenza favorevole al mantenimento dello status quo deve restare costantemente in guardia per evitare defezioni da parte dei suoi alleati; 

al contrario, 
− se gli Stati, in generale, tendono ad adottare una politica di balance contro un aggressore ⇒ una potenza favorevole al mantenimento dello status quo ha un obiettivo più limitato. 

Infine, 
− se si sceglie una via intermedia, affermando che gli Stati adottano una politica a volte di balance altre volte di bandwagon ⇒ i politici devono avere un’attenta conoscenza delle circostanze che conducono a ciascun tipo di azione. 

B. S. Strauss non vuole affermare che tutti gli Stati agiscono sempre in base o alla teoria del balance o alla teoria del bandwagon, ma che ciascuno dà maggiore importanza relativa o alla prima o alla seconda politica. In particolare, egli analizza le posizioni contrapposte di 3 principali scuole di pensiero che hanno dominato l’intera discussione, almeno negli Stati Uniti, ognuna delle quali propone una diversa politica estera per far fronte alla minaccia di un potenziale egemone: 
1. la cosiddetta Cold War Standard View, il cui membro principale può essere visto in George Kennan, e secondo la quale adottare una politica di bandwagoning rappresenta o una seria minaccia o un’opportunità ⇒ una potenza che vuole preservare lo status quo deve essere sempre pronta a usare la diplomazia, il denaro o la forza per prevenire defezioni o vincere nuovi alleati. 
2. la teoria del Realismo strutturale, che difende l’importanza del balancing. Uno dei rappresentanti di questa scuola di pensiero è Stephen Walt, secondo il quale il balancing è più comune del bandwagoning e che quest’ultimo è perlopiù adottato da Stati deboli ed isolati. 
3. la teoria cognitiva di Deborah Welch Larson, secondo la quale il balancing non è la tendenza dominante nella politica internazionale e gli Stati con istituzioni domestiche deboli spesso “saltano sul carro” di un potenziale egemone ⇒ delle 3 scuole di pensiero, quella della Larson dà maggiore importanza alla politica domestica. In particolare, afferma che istituzioni domestiche deboli privano uno Stato della sua identità nazionale, della legittimazione o della capacità di adattarsi ai cambiamenti. In assenza di questi elementi, gli Stati deboli devono far fronte a problemi quali la frammentazione, l’ingerenza da parte di esterni, neutralità come compromesso tra gli opposti gruppi domestici, e la tentazione di imitare il sistema politico di una potenza crescente o di contare su di essa per aiuti economici o di altra natura. 

Alla luce di questo dibattito, Strauss tenta di dimostrare come, nonostante il termine bandwagon sia una moderna invenzione americana, e che balance abbia un uso limitato nelle relazioni internazionali, il conflitto tra Sparta ed Atene dei secoli V-IV a.C. fornisca validi esempi per ciascuno dei 2 atteggiamenti. 
Attraverso una simile analisi, Strauss si propone di trovare peculiarità strutturali e culturali tra la guerra del Peloponneso e la Guerra Fredda. 
La prima cosa che colpisce delle alleanze nella Grecia del V-IV secolo a.C. è la loro fluidità, la possibilità di cambiamenti e combinazioni che esse permettevano. 
Ad esempio: 
− alcune alleanze erano valide solo per un limitato periodo di tempo: 
- la Pace di Nicia negoziata da Sparta ed Atene nel 421 a.C. aveva una validità di 50 anni – anche se, in realtà, cesso di essere valida dopo soli 7 anni; 
− le 2 maggiori alleanze del V secolo a.C. non avevano alcun limite temporale: 
- la Lega Delio-attica, costituita tra Atene e i suoi alleati nel 478-477 a.C., era intesa come un’alleanza permanente, ma ci furono numerose rivolte e defezioni prima che la Lega fosse rimpiazzata dall’egemonia spartana nel 404 a.C. 
- la Lega del Peloponneso non aveva limiti temporali, ma 9 anni dopo la vittoria spartana del 404 a.C, era alquanto destabilizzata. 

Tratto da TEORIA DELLE RELAZIONI INTERNAZIONALI di Elisa Bertacin
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