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Le fasi di quiescenza del procedimento: sospensione, interruzione, cancellazione


La quiescenza del procedimento è uno stato di arresto della procedura, un periodo nel corso del quale il processo pende ma non possono venir compiuti i normali atti della serie procedimentale. La quiescenza è sempre uno stato provvisorio: l’arresto del processo può venir meno attraverso specifici atti di impulso; in mancanza di tali atti alla scadenza di un determinato lasso di tempo, il processo è destinato ad estinguersi.
Il procedimento di cognizione può restare quiescente per varie cause:
1. sospensione
2. interruzione
3. cancellazione della causa dal ruolo

LA SOSPENSIONE

La sospensione del processo di cognizione è uno stato di quiescenza del procedimento: durante la sospensione non possono essere compiuti atti del procedimento. La sospensione interrompe i termini in corso: questi torneranno a decorrere dalla ripresa della procedura.
L’effetto sospensivo è unitario, ma le cause della sospensione sono molteplici e varie. Il codice prevede agli art 295 e 296 due figure di sospensione: una sospensione c.d. necessaria e una sospensione concordata dalle parti.
A stare alla legge, le parti possono ottenere, di comune accordo, una sospensione. Questa sospensione concordata è un istituto praticamente morto per la ridicola misura temporale del periodo massimo di sospensione: 4 mesi! In un sistema in cui i singoli gradi del processo durano anni, e dove i tempi tra udienza e udienza sono in media superiori ai 4 mesi, la sospensione concordata si è ridotta ad una mera possibilità teorica.
Le figure di sospensione appaiono molto eterogenee: se proprio se ne vuole trovare un comune denominatore, le si può dire accomunate dall’opportunità di una pausa procedurale in attesa di un evento rilevante per il processo o per la decisione. Di fronte alla possibilità di eventi in vario modo rilevanti per la controversia, è bene che lo svolgimento del giudizio ne prenda atto, arrestandosi temporaneamente per poter riprendere allorché, una volta verificatosi l’evento, di esso si possa tener debitamente conto.
Le principali figure di sospensione previste dalla legge sono:
a) sospensione per rimessione alla Corte di giustizia dell’UE ai sensi dell’art 3 legge 13 marzo 1958 n 294.
b) sospensioni previste dall’art 27 del regolamento 44/2001 per preventiva pendenza di un identico giudizio di fronte all’autorità giurisdizionale di un altro stato membro.
c) sospensione per pendenza di processo straniero ai sensi dell’art 7 legge 31 maggio 1995
d) sospensione per rimessione alla corte costituzionale
e) sospensione per proposizione del regolamento di competenza
f) sospensione per proposizione del regolamento di giurisdizione
g) sospensione per proposizione dell’istanza di ricusazione
h) sospensione per proposizione della querela di falso
i) sospensione per impugnazione della sentenza non definitiva in ipotesi di prosecuzione dell’istruttoria
j) sospensione del giudizio di cassazione in ipotesi di proposizione di revocazione contro la stessa sentenza
k) sospensione per improcedibilità della domanda dovuta a mancato esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione nel rito del lavoro
l) sospensione per improcedibilità della domanda per mancato esaurimento dei procedimenti prescritti da leggi speciali per la composizione in sede amministrativa dei ricorsi in materia di previdenza e assistenza obbligatorie
m) sospensione discrezionale dei processi la cui definizione dipende dalla risoluzione della medesima questione sottoposta alla corte di cassazione.

LA SOSPENSIONE NECESSARIA

Il giudice “dispone che il processo sia sospeso” quando occorre “risolvere una controversia, dalla cui definizione dipende la decisione della causa”. Qui l’esigenza di arrestare il corso del processo è legata al fatto che un altro giudice deve decidere un’altra causa che si presenta pregiudiziale rispetto a quella considerata. La pregiudizialità consiste nel fatto che la decisione nel merito del processo passibile di sospensione dipende giuridicamente dalla decisione della causa pregiudiziale.
Esempio tipico è la causa di riconoscimento della paternità rispetto alla causa di alimenti. Gli alimenti chiesti al congiunto, sono infatti dovuti solo se sussiste il rapporto di parentela addotto quale elemento dell’obbligo: se il rapporto di filiazione non sussiste, la domanda di alimenti deve essere rigettata.
Quando la causa pregiudiziale pende di fronte allo stesso ufficio giudiziario perché essa è stata instaurata con domanda autonoma, dovrà farsi applicazione dell’art 274, cioè della riunione di procedimenti relativi a cause connesse.
Quando invece la causa pregiudiziale sorge nel corso della trattazione della causa dipendente, il processo non subisce alcuna sospensione poiché il giudice dovrà trattare ambedue le cause.
Per aversi sospensione, la causa pregiudiziale deve quindi pendere di fronte ad un giudice diverso rispetto a quello davanti a cui la causa dipendente.
In ipotesi di due cause legate da nesso di pregiudizialità e proposte di fronte a giudici diversi, per aversi sospensione occorre che sia impossibile l’applicazione del meccanismo dell’art 40 c1, cioè della riunione di fronte al giudice preventivamente adito delle 2 cause. Occorre cioè che questa riunione sia resa in concreto impossibile per tardività della rilevazione, ovvero per impossibilità di proficua trattazione congiunta a causa del differente stato di trattazione delle due cause.
Veniamo al provvedimento reso in materia di sospensione: quale organo è abilitato a pronunciarlo; quale ne è la forma; se vi sono mezzi di controllo.
I provvedimenti relativi alla sospensione hanno forma di ordinanza. L’ordinanza viene pronunciata dal giudice istruttore; nelle cause a struttura collegiale, essa è però pronunciata dal collegio se la causa di sospensione viene rilevata nella fase decisoria.
L’ordinanza è di regola non impugnabile; è però impugnabile con il mezzo del regolamento di competenza la ordinanza che dispone la sospensione necessaria del processo. Ciò significa che restano non impugnabili:
a) le ordinanze che rigettano l’istanza di sospensione;
b) le ordinanze che accolgono l’istanza di sospensione ma fuori delle ipotesi di sospensione necessaria ai sensi dell’art 295.
La corte di cassazione, in sede di regolamento di competenza è chiamata a valutare se la sospensione necessaria è stata correttamente disposta dal giudice; per far questo essa deve valutare la effettiva sussistenza del nesso di pregiudizialità tra la decisione del processo “a monte” e la decisione del processo sospeso. L’ordinanza verrà confermata se il nesso viene riconosciuto tale da imporre la sospensione, e verrà viceversa annullata se il nesso non viene considerato talmente forte da imporre la sospensione.

L’INTERRUZIONE

L’interruzione è un arresto del procedimento. L’istituto dell’interruzione mira infatti a permettere il rispetto dell’effettività del contraddittorio di fronte ad eventi che possono concretamente compromettere tale effettività.
Gli eventi considerati dalla legge quali fattispecie di interruzione sono:
a) morte della parte persona fisica;
b) perdita di capacità della parte: ovvero
- perdita di capacità del rappresentante legale o
- cessazione della rappresentanza legale.
Restano escluse dall’area dell’interruzione le vicende estintive tanto della rappresentanza volontaria quanto della c.d. rappresentanza organica.: qui la legge lascia esclusivamente agli interessati la cura di provvedere alla sostituzione della persona o dell’organo non più idoneo ad esprimere la volontà altrui.
In tutti i casi previsti, la legge ritiene opportuno impedire il compimento di atti processuali che potrebbero danneggiare la parte colpita dall’evento, allo scopo di permettere una nuova costituzione dei soggetti a cui spetta di proseguire validamente il processo.
Ai sensi dell’art 299, se prima della costituzione “sopravviene la morte oppure la perdita della capacità di stare in giudizio di una delle parti o del suo rappresentante legale o la cessazione di tale rappresentanza, il processo è interrotto”.
Ai sensi dell’art 300, se uno degli eventi previsti dall’art 299 “si avvera nei riguardi della parte che si è costituita a mezzo di procuratore, questi lo dichiara in udienza o lo notifica alle altre parti”. In tal caso l’interruzione non consegue automaticamente all’evento, ma necessita di apposita dichiarazione del difensore della parte colpita dall’evento.
La ratio della necessità della dichiarazione del procuratore, sta nel fatto che l’eventuale silenzio del procuratore non lederebbe le esigenze di contraddittorio e difesa.
Nel caso in cui l’evento interruttivo colpisca la parte dichiarata contumace, l’art 300 c4 prevede che il processo “è interrotto dal momento in cui il fatto interruttivo o è certificato dall’ufficiale giudiziario nella relazione di notificazione di uno dei provvedimenti di cui all’art 292.
Eventi in grado di provocare interruzione del processo possono colpire anche il procuratore della parte, cioè il suo avvocato. L’art 301 (morte o impedimento del procuratore) prescrive che, se la parte è costituita a mezzo di procuratore, il processo è interrotto dal giorno della morte, radiazione o sospensione del procuratore stesso. La interruzione è automatica, non richiedendosi alcuna previa dichiarazione, ma la rilevanza dell’evento è anche qui subordinata al suo verificarsi anteriormente al termine per il compimento dell’ultimo atto difensivo della parte.
Il terzo comma dell’art 301 specifica che non sono cause di interruzione “la revoca della procura o la rinuncia ad essa”.
Il periodo di interruzione può concludersi con la ripresa del procedimento ovvero con la sua estinzione. L’art 305 stabilisce che “il processo deve essere proseguito o riassunto entro il termine perentorio di sei mesi dall’interruzione, altrimenti si estingue”. Si ha “prosecuzione” quando l’iniziativa di rimettere in moto il procedimento è presa dalla parte toccata dall’evento interruttivo, ovvero dai suoi eredi o comunque dal nuovo soggetto a cui spetta prenderne il posto.
Prosecuzione significa quindi nuova e volontaria costituzione di tale soggetto con ripristino della regolarità del contraddittorio.
Si ha invece “riassunzione” quando è la controparte (del soggetto toccato dall’evento interruttivo) a prendere l’iniziativa di rimettere in moto il procedimento. In tal caso, tramite “atto di riassunzione”, verrà effettuata la vocatio in jus dei soggetti che debbono costituirsi per proseguire il processo.
Tanto la prosecuzione quanto la riassunzione debbono essere compiute entro il termine perentorio di sei mesi; in mancanza il processo si estingue.

L’ESTINZIONE

L’estinzione del processo è il fenomeno per cui il rapporto processuale instaurato con la litispendenza non si conclude con la sentenza di merito ma con un provvedimento che sancisce un nulla di fatto. Il processo può non sfociare nella sua conclusione naturale arrestandosi invece e concludendosi per l’impossibilità di decidere il merito.
Le cause dell’estinzione sono 2: la rinuncia agli atti del giudizio (art 306) e la inattività delle parti (art 307). Quando si verifica una di tali fattispecie il processo si estingue: esso non può proseguire nel senso che la parte interessata alla dichiarazione di estinzione è abilitata a servirsi della relativa eccezione, obbligando in tal caso il giudice a pronunciare apposita ordinanza dichiarativa dell’estinzione.

LA RINUNZIA AGLI ATTI

L’attore può rinunciare agli atti del giudizio in corso con effetto estintivo dello stesso. La rinuncia non può provenire dal convenuto: sarebbe paradossale che il chiamato in giudizio possa sottrarsi alla sua soggezione al giudizio rinunciandovi.
Il processo si estingue se la rinuncia è accettata dalle parti costituite che potrebbero avere interesse alla prosecuzione. L’art 306 c1 specifica che l’accettazione non è efficace se contiene riserve o condizioni.
L’attore può decidere ad un certo momento di lasciar perdere, di ritirarsi cioè dal processo che egli stesso ha intentato liberando, come si dice, il convenuto “dall’obbligo del giudizio”.
La rinuncia è un atto puro, cioè non legato casualmente alla propria ragione psicologica: dal punto di vista processuale non occorre indagare sul perché l’attore vuol rinunciare, bastando che l’atto sia formalmente idoneo a produrre il suo effetto.
Questo effetto è appunto la estinzione del processo, cioè la chiusura del rapporto processuale in corso.
L’art 306 impone che la rinuncia debba provenire dalla parte personalmente, ovvero dal procuratore speciale. La dichiarazione di rinuncia può essere fatta verbalmente all’udienza, ovvero “con atti sottoscritti e notificati alle altre parti”.
Per essere efficace la rinuncia “deve essere accettata dalle parti costituite che potrebbero avere interesse nella prosecuzione”. Non hanno interesse nella prosecuzione le parti che si sono limitate a chiedere la chiusura del processo in punto di rito. Questo tipo di eccezione dà infatti luogo ad un provvedimento che produce, nella sostanza, lo stesso effetto della dichiarazione di estinzione che conseguirebbe alla rinuncia agli atti di giudizio.
Ne consegue che, per la efficacia della rinuncia agli atti, non è necessaria alcuna accettazione del convenuto che si è limitato a sollevare eccezioni processuali.
La parte che si è difesa entrando del merito della domanda mostra in tal modo di avere interesse alla prosecuzione del processo. Mostra cioè di avere anche essa interesse ad una sentenza di merito, una sentenza di segno contrario a quella dell’attore, ma cmq incidente sulle situazioni sostanziali coinvolte nel processo.
Vanno considerati “interessati alla prosecuzione del giudizio”, e debbono pertanto accettare la rinuncia a pena di inefficacia dell’atto, le controparti dell’attore che hanno esperito difese di merito nel processo.
Si pone il problema se debbano considerarsi interessate le parti che si sono contemporaneamente difese in rito e in merito.
La risposta è dubbia, ma si tende a dire che questo convenuto non manifesta un vero interesse alla prosecuzione del processo: la eccezione di rito è di x sé pregiudiziale rispetto a quelle di merito.
Quanto alle spese, l’art 306 u.c. prevede che il rinunciante debba rimborsare le spese effettuate dalle altre parti, e che la liquidazione delle spese è fatta dal giudice istruttore con ordinanza non impugnabile.

Tratto da PROCEDURA CIVILE di Alessandro Remigio
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