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La teoria del testo al cinema


Si tratta al testo antico un testo nuovo, prodotto di una pratica significante: la teoria classica poneva l’accento soprattutto sul tessuto finito del testo, poiché etimologicamente testo è il tessuto, la tessitura, mentre la teoria moderna del testo si allontana dal testo-velo e cerca di percepire il tessuto nella sua tessitura, nell’intreccio dei codici, delle formule dei significanti in seno ai quali il soggetto si disloca e si disfa, come un ragno che si dissolva esso stesso nella propria tela. Come esplicita Bellour nel suo studio su un segmento di Intrigo internazionale, è impossibile riunire in un solo fascio la molteplicità di questi fili di ragno, poiché il sistema filmico è fondato sulla progressione reiterativi della serie, la regolazione differenziale delle alternanze, la similitudine e le diversità delle rotture; e quindi, un riassunto di analisi testuale non offrirebbe più che lo scheletro scarnificato di una struttura che, per non essere nulla, non sarà mai il tutto molteplice che si edifica in essa, intorno ad essa, attraverso essa, a partire da essa, al di là di essa.
La teoria del testo porta alla promozione di una nuova pratica, la lettura, quella in cui il lettore non è nulla di meno di colui che vuole scrivere abbandonandosi ad una pratica eroica del linguaggio; una delle maggiori conseguenze di ciò è che il commento diviene esso stesso testo: il soggetto dell’analisi non è più così esterno al linguaggio che descrive, ma è anch’egli nel linguaggio, non vi è più discorso tenuto sull’opera, ma produzione di un altro testo di status equivalente, entrando nella proliferazione indifferenziata dell’intertesto.
La produzione testuale non può inscriversi che nel linguaggio, e la permutazione dei poli tra lettore e produttore è facilitata in letteratura dalla similitudine della materia di espressione tra il linguaggio oggetto e quello critico; questa omogeneità scompare col film poiché questo contrappone la specificità del proprio significante visuale e sonoro a quella della scrittura del commento. Di qui gli ostacoli che devono circondare le analisi testuali del film, che Bellour designa precisando che il testo del film è un testo introvabile perché incitabile: per il film non è soltanto il testo che è incitabile, ma l’opera stessa; tuttavia, egli ribalta dialetticamente questa aporia postulando che il movimento testuale è inversamente proporzionale alla fissità dell’opera.
Bellour paragona la testualità musicale a quella del film. In musica, la partitura è fissa, mentre l’opera si muove, perché l’esecuzione cambia; questo movimento accresce in un certo senso la testualità dell’opera musicale, poiché il testo è il movimento stesso. Ma, paradossalmente, questo movimento è irriducibile al linguaggio: il testo musicale è meno testuale di quanto lo siano il testo pittorico e soprattutto il testo letterario, il cui movimento è in qualche modo inversamente proporzionale alla fissità dell’opera. Il film presenta la particolarità, singolare per uno spettacolo, di essere un’opera fissa: l’esecuzione, nel film, si annulla allo stesso modo a beneficio dell’immutabilità dell’opera; questa immutabilità è una condizione paradossale della conversione dell’opera in testo, nella misura in cui essa favorisce, non fosse che per il limite che essa costituisce, la possibilità di un percorso di linguaggio che snodi e riannodi le molteplici operazioni attraverso le quali l’opera si fa testo. Ma questo movimento, che avvicina il film al quadro e al libro, è in pari tempo largamente contraddittorio: il testo del film non smette infatti di sfuggire al linguaggio che lo costituisce; l’analisi filmica non smette così di mimare, di evocare, di descrivere, essa non può, con una sorta di disperazione di principio, che tentare una concorrenza sfrenata con l’oggetto che essa tenta di comprendere, finendo, a forza di appropriarsene e riappropriarsene, per essere il luogo stesso di una perpetua espropriazione.

Tratto da ESTETICA DEL FILM di Nicola Giuseppe Scelsi
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