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Gli anni novanta: la crisi del cinema tra continuità della tradizione e rinnovamento


Gli anni novanta si aprono con una serie di riconoscimenti a livello internazionale, Gianni Amelio riceve la nomination per porte aperte 1990, Tornato vince l’oscar per Nuovo Cinema paradiso, due anni dopo lo vince Salvatores con Mediterraneo 1992, Fellini riceve l’oscar alla carriera e Benigni ottiene 3 oscar nel 99 per La vita è bella. A Cannes vengono riconosciuti La stanza del figlio, Ladro di bambini.
Si allentano sempre di più i vincoli generazionali con i maestri del dopoguerra. Il cambiamento fondamentale è dato dalla perdita dell’egemonia produttiva di Roma, si moltiplicano avventure registiche su tutta la penisola si registrano vari esordi che meritano attenzione: Antonio Albanese un uomo d’acqua dolce, Sandro Baldoni consigli per gli acquisti, Marco Bechis Garage olimpo, Ferzan Ozpetek, Pieraccioni, Paolo Virzì ovosodo.
Se una delle caratteristiche degli anni ottanta era il riconoscimento dei legami con la storia dei padri, ormai tale legame sussiste solo come sporadica citazione esplicita. Tuttavia il legame fondamentale che viene a mancare è quello tra il cinema italiano e il suo pubblico, è invisibile sia all’estero che in casa, molti registi si sono trovati costretti a girare per la televisione o la pubblicità. Tuttavia sono due i film che contribuiscono a rinnovare le speranze per il cinema italiano e sono Il mestiere della armi di Olmi e La stanza del figlio di Moretti. Da sottolinearsi negli ultimissimi anni l’affermarsi di nuovi registi in cui riporre speranze come Crialese e Sorrentino.

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