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Lo zoroastrismo

Lo zoroastrismo

In origine i persiani adoravano varie divinità, che rappresentavano le forze della natura; non vi erano templi né immagini divine e gli dei erano concepiti in forma umana. Le pratiche religiose erano nelle mani di una casta sacerdotale, i magi (da cui deriva appunto al parola ‘magia’), che erano insieme sacerdoti, indovini e operatori di portenti. Ma introno al VII-VI secolo questo antico patrimonio di credenze e di rituali fu profondamente sconvolto da un riformatore religioso di nome Zarathustra, che i greci chiamarono Zoroastro; le sue idee furono adottate dalla casata reale e divennero quindi al religione di stato della Persia. In particolare fu Dario a sostenere lo zoroastrismo, anche al fine di sottrarre potere alla casta dei magi. 

La religione di Zarathustra ci è nota grazie ad un complesso di testi che furono raccolti nell’Avesta, il libro sacro. Caratteristica fondamentale dello zoroastrismo è il conflitto fra lo spirito del bene e lo spirito del male. Il mondo è teatro di una continua lotta fra un dio buono, Ahura Mazda, il Signore Sapiente, e uno malvagio, chiamato Ahriman. Entrambi hanno al loro fianco divinità, le une buone, che tentano di condurre gli uomini sulla via del bene, le altre malvagie, che cercano di traviarli. Il bene per prevalere comunque sul male e Ahriman sarà rinchiuso in una specie di inferno assieme agli uomini malvagi, mentre per i buoni sarà garantita una felicità eterna affianco a Ahura Mazda. Lo zoroastrismo indicava pertanto un preciso codice di comportamento morale e di conseguenza i persiani davano grande importanza all’onestà e alla rettitudine: “Essi detestano prima di tutto la menzogna -scriveva Erodoto- e poi il fare debiti, perché questi conducono alla menzogna e alla frode”. In un inno persiano al dio Mitra (uno degli dei buoni) si dice “Non rompere mai i patti, né quelli fatti con uomini malvagi né quelli fatti con uomini giusti della tua religione; perché un patto ha forza tanto se fatto con i buoni che con i malvagi”. 

LE TORRI DEL SILENZIO

Lo religione persiana prescriveva che gli elementi naturali non venissero contaminati dalla morte e dalla corruzione dei cadaveri; di conseguenza erano vietate le sia la sepoltura sia la cremazione (che avrebbero contaminato terra e fuoco). I orti venivano allora sepolti avvolti in colate di cera, oppure più frequentemente abbandonati in luoghi deserti  o sulla cima di altissime torri, le torri del silenzio, per essere divorati dagli avvoltoi o da altri animali. 

Quest’uso pareva particolarmente empio ai greci, che avevano grande cura per i morti, ma nello zoroastrismo il cadavere era considerata solo come un ostacolo alla liberazione dell’anima che vi era contenuta. Questo modo di trattare i defunti è continuato fino alle epoche più tarde della storia persiana se lo storico bizantino Agazia, vissuto nel Vi secolo d.C., poteva dire che “nudi ossami senza carne si disfano qua e là nei campi poiché c’è un divieto religioso che proibisce di seppellire i morti. Se gli uccelli non piombano immediatamente su un corpo o i cani che vi si aggirano attorno non ne fanno strazio, ritengono che l’uomo sia stato impuro di costumi e l’anima sia perversa, dannata e abbandonata al dio del male: in questa circostanza i parenti lo piangono come se fosse davvero morto e non avesse ottenuto un destino migliore dopo la morte. Invece chi viene immediatamente divorato è celebrato per la sua morte felice.”

Alcuni Torri del silenzio esistono fino a pochi anni fa nei luoghi in cui sopravvivono le ultime comunità zoroastriane, come Bombay in India, dove si rifugiarono molti perseguitati durante il medioevo. In alcuni piccoli distretti isolati dell’Iran, le torri del silenzio furono soppresse solo alcuni lustri fa. 

Tratto da STORIA DEL VICINO ORIENTE ANTICO di Lorenzo Possamai
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