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Empatia, simpatia, disagio personale e contagio emotivo

Empatia, simpatia, disagio personale e contagio emotivo


La risposta simpatetica (o simpatica): con il termine “simpatia” si identifica una modalità di risposta affettiva orientata al vissuto dell’altro che si esplicita nel provare dispiacere, preoccupazione, interesse per qualcuno e si traduce nell’urgenza di agire in qualche modo per intervenire a favore o sostenere la persona per cui si prova simpatia. Diversamente dall’empatia, che potremmo descrivere un “sentire come” qualcun altro, la simpatia è meglio resa dall’espressione “sentire per” qualcun altro. La risposta simpatetica differisce dall’empatia perché l’emozione sperimentata dall’osservatore non è necessariamente simile a quella provata dall’altro.
La risposta di disagio personale (personal distress): Batson (1991) ha definito il personal distress, identificandolo precisamente con l’esperienza di uno stato emotivo negativo (ansia o preoccupazione) e che porta a una reazione o a preoccupazione orientata su di sé, egoistica. Hoffman chiama il disagio personale overarousal empatico e lo descrive come un sentimento involontario che occorre quando il sentimento condiviso dall’osservatore diventa così carico di dolore e intollerabile che si trasforma in disagio personale, che porta l’individuo ad allontanarsi dalla situazione. Fin qui, la definizione è molto simile a quella di Batson. I due autori constatano che, di fatto, quando l’osservatore ha un forte legame con la persona che in quel momento è la fonte del suo disagio, o quando egli ha un ruolo che lo responsabilizza a intervenire in qualche modo, ai vissuto di disagio possono far seguito dei comportamenti di aiuto. Ciò che differenzia le posizioni di Hoffman e Batson sono le motivazioni che i due ipotizzano sottostare a questi comportamenti di aiuto. Batson, ritiene che il fatto di provare personal distress sia riconducibile esclusivamente a motivazioni di tipo egoistico.
Per cui egli attribuisce il comportamento di aiuto al fatto che il ruolo o il sentimento che lega le due persone rappresenta un vincolo che rende impossibile la fuga e, quindi, il modo più rapido di smorzare il proprio disagio diventa quello di prestare aiuto all’altro. Hoffman, d’altro canto, sembra affermare che l’overarousal empatico, sebbene motivi anche comportamenti di tipo egoistico, a volte può avere motivazioni altruistiche ed essere orientato verso l’altro. In quest’ultimo caso lo spettatore, in virtù del ruolo che riveste e del legame affettivo con la persona in stato di bisogno, sarebbe spinto a spostare il proprio focus sulla sofferenza della vittima e per questo cercherebbe di aiutarla. La risposta di disagio personale è simile all’empatia, ma differisce da questa perché l’emozione sperimentata dall’osservatore non è necessariamente in sintonia con quella provata dall’osservato.
Hoffman si riferisce all’empatia con il termine di arousal empatico e definisce il disagio personale come un overarousal empatico. Da questo punto di vista, sembrerebbe che il disagio personale differisca dall’empatia per un eccesso di attivazione. Si potrebbe perciò immaginare che un’esperienza di condivisione particolarmente intensa provochi un vissuto talmente forte da risultare difficile da gestire e, quindi, da suscitare il disagio personale.
Il contagio emotivo: è la prima forma di condivisione affettiva che i bambini manifestano già nelle prime ore di vita. Infatti, come sostiene Hoffman, nei primi mesi dopo la nascita i bambini non sono ancora in grado di distinguere sé dall’altro e quindi, nel momento in cui percepiscono l’emozione di qualcuno, non sono in grado di capire che l’emozione ha una causa esterna (l’altro soffre) e le “attribuiscono” una causa interna (io soffro).

Tratto da CHE COS'È L'EMPATIA di Anna Bosetti
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