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La natura iconica del cinema


Sulla specificità del cinema si pronuncia anche un autorevole esponente della scuola formalista, Jurj Tynjanov che affermò, contro gli ideali di purezza di Arnheim, che le arti si distinguono tra loro non solamente e non tanto per il loro oggetto, quanto per il loro atteggiamento nei confronti dell’oggetto stesso, e che il mondo visibile viene reso dal cinema non come tale, ma nelle sue correlazioni semantiche. Se così non fosse, il cinema sarebbe solo fotografia viva. L’uomo visibile, l’oggetto visibile, diventa allora elemento dell’arte cinematografica solo quando esso diventa segno semantico. Passa poi a contestare i fattori differenzianti di Arnheim – facendone di necessità virtù – vedendoli non come difetti ma come principi strutturali positivi che fanno apparire sullo schermo un uomo e un oggetto nuovo.
Bela Balàzs, nel saggio del 1922, “L’uomo visibile”, parte dalla natura iconica del cinema, dalla sua capacità di esprimere la gestualità umana, che rappresenta e tradisce in un certo senso la parte più irrazionale dell’uomo, fissandola sulla pellicola, concretizzandone in un certo senso il suo spirito.
L’importanza del montaggio secondo Balàzs è da collegarsi alla sua capacità di dare significazione al film. Se il film è una sequenza di immagini, è la tensione ricavata da un particolare modo di affiancare le immagini, a dare un senso compiuto al film. Il montaggio ha quindi necessità di un manuale, di una linea guida, di un codice, di un canone che insegni a conferire alla pellicola quelle irrinunciabili capacità di esprimere ritmo, fluidità, senso e tensione. Le immagini devono poter dialogare tra loro e illuminarsi a vicenda.
Ejzenstein ha idee diverse. Il montaggio non è un mezzo per sviluppare un’idea attraverso inquadrature singole, che è invece compito del principio narrativo. Il montaggio è una idea che nasce dallo scontro di inquadrature indipendenti, o addirittura opposte l’una all’altra, il principio drammatico della pellicola.
La generale incomprensione della natura del montaggio deriva dall’opinione diffusa che esso sia la fusione di inquadrature in sequenza, mentre esso è la successione di elementi visti uno sopra all’altro, e non accanto. L’idea di movimento che ha lo spettatore nasce, infatti, dal processo di sovrapposizione, dalla impressione conservata della prima posizione dell’oggetto, di una nuova posizione visibile dell’oggetto stesso.

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