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La crisi fiscale di New York

La ristrutturazione e la deindustrializzazione capitalista avevano impoverito la città, emersero inquietudini sociali tra le popolazioni emarginate che segnarono l'inizio della crisi urbana. Anche se la soluzione era un'espansione dell'impiego pubblico, di fronte alle difficoltà fiscali Nixon si limitò a dichiarare conclusa la crisi urbana. Nel '75 una cricca di banchieri si rifiutò di rinnovare il debito costringendo la città alla bancarotta. Furono dunque create nuove istituzioni per gestire il bilancio cittadino, queste imposero che gli introiti di New York fossero impiegati prima per ripagare i titoli di obbligazioni e solo con quello che rimaneva si sarebbero pagati i servizi essenziali. Nel mezzo della crisi fiscale le ricchezze furono ridistribuite alle classi alte. In pochi anni molte conquiste della New York operaia furono cancellate. I banchieri d'investimento si proponevano di creare un clima favorevole all'attività economica, utilizzando risorse pubbliche per costruire infrastrutture idonee alle iniziative commerciali. Il corporate welfare si sostituì al welfare per i cittadini. New York divenne l'epicentro della sperimentazione culturale e intellettuale postmoderna e intanto i banchieri ricostruivano l'economia della città intorno alle attività finanziarie e ausiliarie. La gestione della crisi fiscale di New York aprì la strada alle pratiche neoliberiste e stabilì il principio per cui, in caso di conflitto, tra l'integrità delle istituzioni finanziarie e i profitti dei titolari d'obbligazioni da una parte e il benessere dei cittadini dall'altra dovevano essere privilegiati i primi.

Tratto da BREVE STORIA DEL NEOLIBERISMO di Giulia Dakli
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