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La guerra e l’ulteriore progressione dell'emarginazione degli ebrei


All’approssimarsi dell’ingresso in guerra dell’Italia si moltiplicarono le avvisaglie che facevano prevedere che il coinvolgimento nel conflitto avrebbe comportato quasi automaticamente un inasprimento della pressione persecutoria contro gli ebrei. I questa direzione muoveva innanzitutto l’inasprimento della campagna di stampa contro gli ebrei; su di essi furono scaricare le responsabilità per lo scatenamento del conflitto. Il 1904 il Ministro dell'Interno predispose una prima circolare che prevedeva in caso di guerra l’internamento dei sudditi di Stati nemici; la novità risiede nel fatto che in esso fosse esplicitamente contemplato l’internamento di tutti gli ebrei stranieri, come categoria a se stante. Il 27 maggio si scriveva: “In caso di emergenza, oltre agli ebrei stranieri sarà necessario internare quegli ebrei italiani che per la loro pericolosità fosse necessario allontanare da abituali loro residenze”. Il 26 Maggio veniva comunicato che “il duce desidera che si preparino dei campi di concentramento anche per gli ebrei”.
Il più grande campo di concentramento in Italia per ebrei stranieri fu quello di Ferramenti di Tarsia.
La restrizione della libertà personale era resa più o meno dura dal comportamento dei comandanti e dalle guarnigioni dei singoli campi. Nel caso degli ebrei italiani internati il sentimento generalizzato era l’umiliazione subita con la perdita della libertà personale.
Nel 1942 il regime si ricordò che avrebbe dovuto far partecipare allo sforzo bellico anche gli ebrei; la prima disposizione in proposito fu presa dalla Demorazza il 6 maggio 1942. Agli ebrei veniva rinfacciata la loro assenza dallo sforzo bellico, come se a tenerli lontani dagli obblighi imposti al resto delle componenti della società non fosse stato lo stesso regime che ora si scandalizzava della loro assenza.
Nel mezzo della crisi del regime, ormai esplose apertamente una nuova campagna contro gli ebrei additati come il nemico interno responsabile di ogni sciagura. Il sistema concentrazionario fino allora riservato agli ebrei stranieri e a una minoranza degli ebrei italiani, si avviava a diventare la dimora normale per tutti gli ebrei.
In linea di massima è vero che le forze armate e la diplomazia italiana non condivisero la politica persecutoria, il cui obiettivo ultimo sarebbe stato lo sterminio, attuata dai tedeschi; ma di una sistematica opposizione dell'Italia alla politica nazista non si può parlare.
La tendenza generale dei comandi militari italiani e delle autorità civili italiane fu quella di NON consegnare gli ebrei che si rifugiavano sotto la protezione dell’Italia ai tedeschi.
Che il governo fascista non sapesse quale sorte era riservata agli ebrei nell’area controllata dal Terzo Reich è affermazione che oggi nessuno storico serio potrebbe sostenere con un minimo di attendibilità. Il governo fascista sapeva; si può discutere soltanto se conosceva tutti i dettagli dello sterminio pianificato e dove si arrestavano le sue conoscenze.
Davero l’Italia si può chiamare “fuori dal cono d’ombra dell’olocausto” come vorrebbero autorevoli storici (De Felice)?

Tratto da IL FASCISMO E GLI EBREI di Antonino Cascione
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