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La svolta dell'EUR e la sua crisi


La svolta sindacale si realizzò nella Conferenza dei 1.500 delegati dell'EUR (febbraio ' 78) che consolidò la linea della moderazione salariale e di una maggiore flessibilità del lavoro con la richiesta di riforme nel settore dell'edilizia, dei trasporti, del fisco e della finanza pubblica.
La "svolta" però morì prima della solidarietà nazionale che aveva contribuito a preparare, prima che Andreotti rassegnasse le dimissioni a seguito del disimpegno comunista nel gennaio '79. Contro di essa si scagliarono le Federazioni che interpretavano gli umori di rivolta della base. Il fatto che la base non accettasse nella sostanza i deliberati dell'EUR, almeno sul versante della moderazione salariale, fu chiaro nel corso della vertenza per i rinnovi contrattuali del '78-'79.
Inoltre iniziava a diffondersi il fenomeno dei sindacati autonomi, soprattutto nella pubblica amministrazione e nel settore dei servizi. Questa realtà incrinava il presupposto su cui si reggeva il modello il sindacato affermato negli anni '70, ossia l'universalità della rappresentanza del lavoro dipendente e la capacità di conciliare la politica delle riforme con quella contrattuale e rivendicativa.

Sul versante politico, la rottura della solidarietà nazionale e la sconfitta elettorale del PCI alle elezioni politiche del giugno '79, introdusse motivi di sbandamento anche nel sindacato. In particolare la CGIL rifletteva il passaggio del PCI all'opposizione manifestando una rinnovata intransigenza sulle materie di confronto col governo (scala mobile, patto anti-inflazione, costo del lavoro). Lo stesso "piano d'impresa" presentato da Trentin nell'ottobre '79 e che imponeva alle imprese pubbliche e private che godessero di finanziamenti pubblici di presentare il piano pluriennale degli investimenti al sindacato, aveva carattere unidirezionale senza, cioè, prevedere l'assunzione di responsabilità del sindacato nelle scelte.

Sul fronte del processo unitario, durante il convegno di Montesilvano (Pescara) nel novembre '79, la Federazione CGIL CISL UIL tentò un rilancio proponendo che l'unità si allargasse a più livelli. I primi due livelli (fabbrica e zona) avevano già una configurazione unitaria e, pertanto, occorreva giungere all'integrazione del terzo livello ossia quello che faceva capo rispettivamente nella CGIL alle Camere del Lavoro e nella altre due Confederazioni alle Unioni provinciali. Si trattò di una proposta rinviata al dibattito nei congressi nazionali che restò sulla carta dato che gli elementi di divisione all'interno della Federazione sindacale, agli inizi degli anni '80, avevano sormontato quelli di convergenza.

Nella CISL, la rottura della solidarietà nazionale e i sospetti che essa aveva alimentato verso la CGIL, favorirono il ricompattamento interno della maggioranza guidata da Carniti, nuovo segretario. Il presupposto dell'autonomia sembrò accomunare nuovamente tutte le correnti del sindacato d'ispirazione cattolica.

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