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Adozione


Essa consiste in una relazione genitoriale e in un rapporto di affiliazione in assenza di un legame di consanguineità.
Oggi non rappresenta solo un fatto privato, ma costituisce un evento sociale, regolamentato da norme di legge finalizzate a garantire l’effettiva tutela del minore: vi è il diritto del minore ad aver una famiglia che si prenda cura di lui e si precisa che essa dovrà essere, in primo luogo, la famiglia originaria; il presupposto fondamentale che permette l’adozione di un minore è l’accertamento della sua situazione d’abbandono, è ammissibile, dunque, la rottura del minore con la sua famiglia d’origine e l’inserimento in un altro nucleo familiare solo se le carenze familiari sono tali da impedire un’adeguata crescita del figlio senza alcun rimedio.
Ogni anno in Italia viene dichiarato lo stato di adottabilità per 1000 bambini; si hanno però ben 10.000 richieste di adozione, e ogni anno si riscontrano solo 15 decreti di adozione nazionale; per questo molte coppie italiane si orientano verso l’adozione internazionale; dei minori stranieri che entrano in Italia la fascia prevalente va dai 0 ai 4 anni, seguita da quella che va dai 5 ai 9 anni; essi provengono prevalentemente dall’Europa dell’est e dall’America latina.
E’ importante elaborare, inizialmente, il lutto dell’adottato legato all’abbandono e il lutto della coppia adottante legato alla ferita dell’incapacità procreativa; la consultazione psicologica rappresenta la valutazione delle condizioni psicologiche del minore e le capacità genitoriali della coppia aspirante; l’adozione, proprio per la mancanza della gestazione e del parto, richiede un complesso lavoro mentale per stemperare la dicotomia tra biologico e mentale, infatti il passaggio dalla mancanza di un figlio naturale all’accettazione e all’accoglimento di un essere nato da altri comporta una complessa elaborazione personale e di coppia che deve garantire il superamento del lutto per l’incapacità generativa e il superamento della dimensione biologica per fare spazio ad una dimensione più affettiva e mentale; dunque il compito degli operatori è di capire la capacità della coppia di instaurare un rapporto con un baambino sconosciuto e nato da altri.
Il bambino abbandonato va incontro ad esperienze di perdita affettiva e di punti di riferimento per i suoi comportamenti personali, si trova in un momento di crisi personale ed è costretto a ristrutturale non solo i legami affettivi ma anche i suoi comportamenti in un ambiente diverso dal precedente e integrando le sue esperienze passate con quelle presenti e future.
La situazione psicologica dei bambini precocemente deprivati è poi ulteriormente aggravata dall’istituzionalizzazione che costituisce un’ulteriore esperienza di deprivazione;
la situazione psicologica dei bambini che invece per un certo periodo hanno vissuto con i genitori naturali e poi ricoverati in istituto è ben diversa, poiché hanno comunque continuato ad avere rapporti con essi per i primi anni.
Per i bambini stranieri gli effetti negativi di tali situazioni sono ancora maggiori, poiché essi provengono da un paese diverso dal nostro e devono sforzarsi di acquisire abitudine e modalità di comunicazione proprie del nostro contesto sociale vivendo dunque una perdita di punti di riferimento affettivi, culturali ed ambientali.
I genitori adottivi, generalmente, sono animati da diversi timori: la riuscita dell’adozione intesa come legame affettivo reciproco e soprattutto la paura che, col passare degli anni, il bambino possa desiderare di riprendere i contatti con chi lo ha generato vivendo questo come un fallimento della loro capacità di farsi amare come genitori, ponendosi quasi su un piano di competizione con i genitori naturali; ma l’adozione è altro, essa è tollerare, in qualsiasi momento, il ricordo di non aver procreato quel figlio e di accettare il suo dolore per aver perso i genitori naturali.
Per il bambino l’esperienza adottiva costituisce, da un lato, la premessa di un legame affettivo stabile, dall’altro ribadisce l’abbandono definito da parte dei suoi genitori naturali.

Tratto da NEUROPSICHIATRIA INFANTILE di Anna Battista
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