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Critiche ai DSM


Le critiche al sistema DSM sono state particolarmente intense dal mondo psicoanalitico.
In primo luogo si critica l'eccessiva attenzione al piano dei segni e dei sintomi: lo stesso sintomo può avere funzioni e significati multipli, per cui basarsi sui sintomi manifesti può comportare diagnosi falsamente positive o falsamente negative; lo stesso insieme di criteri comportamentali possono essere presenti in disturbi diversi.
Altra critica è al tentativo di eliminare i pregiudizi teorici: la teoria non è soltanto inevitabile, ma è essenziale per lo sviluppo di una tassonomia; senza di essa è impossibile valutare la validità di costrutto, centrale in ogni sistema diagnostico.
Ancora, vi è un'eccessiva attenzione all'attendibilità, a spese della validità, cosa che ha prodotto un sistema tassonomico altamente frammentato.
L'uso di distinzioni categoriali invece di quelle dimensionali sembra invece rispondere più al bisogno di creare un senso di apparente semplicità, che a riconoscere la complessità dei fenomeni clinici.

Un'ulteriore problema è quello della comorbilità: essa non è una caratteristica della psicopatologia o della sua organizzazione, bensì una conseguenza dei rigidi confini dati alle categorie diagnostiche.Per quanto riguarda i sistemi diagnostici relativi all'infanzia ed all'adolescenza, previsti sia nel DSM IV che nell'ICD10, ci si può chiedere se un sistema diagnostico relativo alla psicopatologia dell'adulto possa essere applicabile ai bambini ed agli adolescenti. Già A. Freud riteneva che i criteri relativi agli adulti non potessero essere applicati ai bambini in quanto i livelli funzionali spesso vanno incontro a fluttuazioni. Per lei, solo l'arresto dei processi evolutivi costituirebbero un disturbo.
Un paradigma teorico di grande utilità in tal senso potrebbe essere quello evoluzionistico: l'utilità di tale approccio risiederebbe nella possibilità di integrare gli sviluppi delle neuroscienze e di organizzare un'interazione fra fattori biologici, psicologici e sociali ai fini dei processi di adattamento all'ambiente. Alcuni postulati di tale approccio sono: 1) gli strumenti mentali, emotivi e cognitivi di cui siamo dotati servono all'adattamento ed alla sopravvivenza; 2) l'ambiente di adattamento evoluzionistico dei nostri antenati è completamento diverso da quello degli ultimi 10000 anni, ed un breve lasso di tempo come quest'ultimo è insufficiente a determinare importanti cambiamenti genetici e adattamenti che consentano di adattarsi a questi cambiamenti della vita sociale, per cui la maggior parte delle funzioni mentali sono state costruite per garantire la sopravvivenza nelle antiche società dei cacciatori e raccoglitori; 3) alcune forme di psicopatologia possono derivare da esperienze precoci durante i periodi di neuroplasticità che garantivano la sintonia fra individuo ed ambiente precoce, ma sono disadattivi in altri contesti, in fasi successive dello sviluppo.
In tale prospettiva, Emde ha ipotizzato che schemi diagnostici alternativi possano includere “disturbi della relazione”, specie nei primi anni di vita: il disturbo può essere concettualizzato come una difficoltà che riguarda fondamentalmente la transazioni fra l'individuo e l'ambiente.

Un consistente gruppo di psichiatri infantili e psicoanalisti francesi ha proposto un sistema di classificazione diverso. Tale classificazione, che ripropone la distinzione psicoanalitica classica fra psicosi, nevrosi e disturbi della personalità, non ha trovato grande diffusione al di fuori della Francia, tuttavia, presenta aspetti di indubbio interesse in quanto non si limita a fornire criteri di tipo sintomatico ma considera anche la struttura evolutiva del bambino in cui possono manifestarsi segni di malessere più sfumati. Gli autori mettono in luce che, quando si devono affrontare scelte terapeutiche, non è sufficiente il criterio sintomatologico, ma occorre tenere presente gli aspetti patogenetici e la struttura della personalità.

Recentemente, vari ricercatori si sono mossi cercando di costruire una classificazione basata su evidenze empiriche della psicopatologia dell'infanzia e dell'adolescenza. Detto che l'identificazione empirica delle sindromi non implica alcun assunto sulle cause o sul decorso clinico delle sindromi, tale classificazione è di tipo multiassiale: nell'asse I vengono considerati i resoconti dei genitori, nell'asse II quelli degli insegnanti, nell'asse III la valutazione cognitiva, nel IV la valutazione fisica, e infine nel V la valutazione diretta del bambino. Dall'incrocio delle varie informazioni vengono valutate scale diverse delle sindromi internalizzanti (isolamento, manifestazioni ansioso-depressive, lamentele somatiche), esternalizzanti (comportamento delinquenziale, aggressivo), e in posizione intermedia fra le prime due (problemi sociali, del pensiero, dell'attenzione).

Tratto da MANUALE DI PSICOPATOLOGIA DELL’INFANZIA di Salvatore D'angelo
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