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La soggezione della pubblica amministrazione al diritto comune


Il problema della natura pubblica o privata dell' ente è insorto, il più delle volte, nelle controversie sollevate dai dipendenti: si trattava di stabilire se il rapporto fra l'ente e costoro era un rapporto di pubblico impiego o un rapporto di lavoro privato; e si poneva, preliminarmente, la questione se la controversia rientrasse nella giurisdizione amministrativa o in quella ordinaria.
Tutto ciò prima che il d.l. 546/1993, privatizzasse il rapporto di pubblico impiego, assoggettando al codice civile il rapporto di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche.
Permane, tuttavia, la validità del criterio utilizzato:
a.non c'è necessaria correlazione fra il fine dell'ente e la natura dell'attività esercitata per realizzarlo; onde un fine pubblico ben può essere perseguito con lo svolgimento di una attività privatistica;
b.la natura pubblicistica o privatistica dell'attività dell'ente pubblico va ricollegata, anziché al fine cui è preordinata, alle oggettive modalità organizzative secondo le quali si svolge: in particolare, l'attività dell'ente pubblico ha natura privatistica quando, anche se diretta a realizzare un pubblico fine, si svolga secondo «criteri di economicità», ossia con i caratteri di una attività imprenditoriale.
A questo modo il «diritto comune a pubblici e privati operatori» trova un oggettivo punto di riferimento: le attività economiche, quale che sia la natura, pubblica o privata, del soggetto che le esercita, sono regolate dal diritto privato o, meglio, dal diritto comune.
Il presupposto di applicazione del diritto comune è dalla giurisprudenza reso oggettivo: dipende cioè dall'accertamento delle modalità in concreto attuate dall'ente pubblico per lo svolgimento della propria attività; non già dalla previsione di una espressa norma di legge che assoggetti l'ente al diritto comune.
In presenza di quell'oggettivo presupposto, gli stessi poteri di organizzazione e le stesse facoltà discrezionali spettanti all'ente pubblico subiscono un radicale mutamento di qualificazione giuridica: cessano di essere pubbliche potestà e discrezionalità amministrative per diventare «potere imprenditoriale privato», spettante all'ente pubblico come a qualsiasi imprenditore, con la conseguenza che l'autorità giudiziaria ordinaria può, nelle controversie sollevate dai dipendenti dell'ente, sindacare la legittimità degli atti e dei componenti di questo alla stregua del c.c. e, in particolare, in base alla clausola generale di correttezza di cui all'art. 1175.
I giudici non sentono il bisogno di dare una giustificazione normativa alla sistemazione accolta.

La dottrina sul punto.

La dottrina l'ha però da tempo ritrovata nella Carta costituzionale e, in particolare, nel principio implicito nell'art. 41.3: è il principio secondo il quale le attività economiche pubbliche, benché attività pubbliche, sono sottratte allo «statuto» della pubblica amministrazione; esse, per il solo fatto di essere attività economiche, sono sottoposte all'indifferenziato «statuto» proprio di queste.
Il principio ha anche una significativa valenza economica, che la giurisprudenza della Cassazione rende ora operante; vale come principio regolatore del mercato in economia mista; è il principio secondo il quale i soggetti che agiscono sul mercato, siano soggetti privati oppure soggetti pubblici, debbono operare in condizione di giuridica parità, secondo un medesimo diritto.
La medesima valenza hanno, già nel c.c., le norme dell'art. 2093, co. 1 e 2, che assoggettano alle norme del libro V le imprese esercitate dagli enti pubblici; e le menzionate norme degli artt. 2458-59, che circoscrivono i privilegi concessi agli enti pubblici azionisti, lasciando la società per azioni in mano pubblica sottoposta sotto ogni altro aspetto alle stesse norme applicabili alla società per azioni in mano privata.
Le considerazioni fin qui svolte riguardano la disciplina delle attività; analogo discorso vale per la disciplina degli atti o per quella dei fatti riferibili all'ente pubblico.

Tratto da LE PERSONE GIURIDICHE di Beatrice Cruccolini
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