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Calvino e la dottrina della predestinazione


È soprattutto con un'altro grande protagonista della riforma, Calvino, e con le sette religiose che si formano a partire dal suo insegnamento, che la rottura con il cattolicesimo si compie definitivamente. Calvino introduce la dottrina della predestinazione, secondo la quale Dio, col suo volere, ha salvato una parte dell'umanità e condannato alla dannazione eterna l'altra, senza che l'uomo possa intervenire a modificare la situazione. Con questa dottrina Dio è considerato quindi trascendente e diverso rispetto all'uomo.
Questa dottrina ha avuto anche delle conseguenze per l'azione. Weber parla di spinte pratiche all'azione, ossia di meccanismi microsociali che indirizzano l'agire di grandi masse di persone in direzione di un nuovo tipo di imprenditorialità capitalistica. Queste sono però delle conseguenze impreviste e non volute dall'opera dei riformatori. La predestinazione poteva condurre al fatalismo, in quanto se l'uomo non può fare nulla per ottenere la salvezza, in quanto tutto è già stato deciso, non gli restava che accettare passivamente il proprio destino.
La predestinazione ha condotto invece ad un atteggiamento opposto, di attivismo in questo mondo, perché quando il protestantesimo cominciò a diffondersi a un numero crescente di persone, sorse il problema della certezza della salvezza, in quanto se i protagonisti della riforma erano sicuri di far parte degli eletti, gli uomini e le donne comuni vivevano in uno stato d'angoscia perché non sapevano a quale parte dell'umanità erano stati predestinati, se ai salvati o ai dannati. Per rispondere a questa situazione, la massa di credenti deduce dalla scelta divina dal successo nel lavoro professionale, onestamente e metodicamente conseguito, in una condotta di vita che Weber chiama ascesi laica.
Ne “Le Sette Protestanti”, Weber ha accentuato il ruolo dell'appartenenza alle sette nel favorire lo sviluppo economico. L'obiettivo di Weber in quest'opera è quello di spiegare la permanenza, nella società americana di inizio secolo, ormai capitalistica, di un rapporto ancora forte tra religione e mondo economico. Venivano così a formarsi un gran numero di sette, cioè di associazioni religiose volontarie e selettive, chiamate oggi capitale sociale, capaci di rispondere all'esigenza del mondo economico di valutare su solide basi l'affidabilità delle persone con cui si entrava in affari. Queste reti sociali garantivano dunque la riputazione morale delle persone che ne facevano parte.

Tratto da SOCIOLOGIA DEI PROCESSI CULTURALI di Manuela Floris
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