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Il ruolo del regista nel teatro


Il regista è l’autore di un progetto secondo, nel quale si instaura un particolare progetto ai fini della rappresentazione.
Se il testo è assente, o ridotto al mero spunto tematico, il regista assomma le due funzioni e diventa chi definisce il progetto di spettacolo.
In una rappresentazione il regista può mancare. Così avviene ad esempio nei riti collettivi (dove, se vogliamo, la regia è interna a ciascun partecipante) o nell’improvvisazione a tema o su un semplice pretesto.
La regia può anche essere demandata ad altri operatori, che realizzando una rielaborazione del testo di comune accordo (la cosiddetta regia di gruppo), o procedono ad una propria rielaborazione del testo. In Brecht, ad esempio, sono frequentissime sia le progettazioni comuni, sia lo straniamento reciproco degli elementi, dove cioè ciascuno mantiene un proprio rapporto critico col testo.
La regia può anche ridursi a semplice lavoro di orchestrazione, o ancora di semplice assemblaggio.
Il teatro di regia è invece quel teatro in cui il regista tende ad assumere in sé tutte le funzioni, diventando l’unico autore dello spettacolo (come auspicava Mejerchold), spesso seguendo un rigido progetto. Può realizzare direttamente le funzioni, o demandare altri, per poi correggerli a suo piacimento.
Un grande sostenitore del teatro di regia fu E.G. Craig che con la sua teoria della supermarionetta considerava lo stesso attore come un semplice elemento ciecamente obbediente alla volontà del regista. La teoria della supermarionetta nasceva dall’idea di Craig che l’attore non rinuncia mai completamente, anche solo inconsciamente, alla propria visione del progetto, ed entra in conflitto con quello del regista.
Il rapporto tra regista e attore è sicuramente quello più complesso. Oltre alla variante Craig, infatti, ci sono numerosi punti intermedi, spesso complessi e ambigui.
Stanislavskij elaborò la teoria della riviviscenza, che invitava l’attore a creare il proprio sottotesto, per imparare a vivere e non a rappresentare il proprio personaggio, per poi tuttavia pretendere dall’attore il massimo del naturalismo.
Grotosvski e Barba erano sempre attenti a vigilare sulla verità dell’agire degli attori,che devono imparare a distruggere, oltre ai falsi clichès recitativi, anche il pensiero cosciente che li porta a distinguere razionalmente lo stimolo del regista dalla reazione, in una continua tensione fisica e psicologica derivata dalla compresenza obbligata della spontaneità e della disciplina.

Tratto da LETTERATURE COMPARATE di Gherardo Fabretti
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