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Sorlin. Stile di Bergman e Kurosawa


Analizzerò l’esempio di una serie di film di Kurosawa e alcuni di Bergman. Il tempo nel cinema di Kurosawa è regolato, è misurato nel doppio senso di moderato e di costruito su una base costante. Kurosawa enfatizza la differenza tra la temporalità della storia e il tempo della narrazione. Le riprese di Kurosawa sono costruite con un estremo rigore geometrico. Le opere di Kurosawa evidenziano uno stile, un modo di costruire le durate e le inquadrature e di sistemare le riprese secondo una logica formale indipendente dallo sviluppo della trama. Kurosawa racconta delle storie, le sue sceneggiature sono classiche, aprono un conflitto che è destinato a risolversi, oppure pongono delle domande che dopo varie vicende trovano risposta. Allo stesso tempo l’elaborazione stilistica crea lo svolgersi del film, che è basato sulla regolarità, sul ritorno all’indietro e che senza ne seguire ne contraddire il racconto conferisce a questo la sua forma e la sua fisionomia. A prima vista gli stessi caratteri (l’importanza di personaggi che fronteggiano il pubblico e l’equilibrio luce ombra) si incontrano nell’opera di Bergman, ma l’organizzazione stilistica cambia radicalmente la funzione di elementi apparentemente identici. L’integrazione di un ambiente nello spazio del film, ricorrente nelle opere di Kurosawa, non appare in quelle di Bergman. Lo svedese non ignora la simmetria, ma la sua non è geometrica e riguarda soltanto una forte contrapposizione tra personaggi. La simmetria di Bergman non si inserisce quindi in una costruzione ricercata nei rapporti tra tempo e ritmo. Il tempo di Bergman sembra aleatorio, le sue riprese non si ordinano secondo uno schema predefinito. Nei film di Bergman ci sono dei modi di filmare o di costruire personaggi e scene che ritornano da un opera all’altra e che costituiscono forme stilistiche. Se si vuole usare il termine stile nel caso di Bergman bisogna dire che il suo è uno stile libero. Possiamo chiamare stile il trattamento delle immagini e dei suoni indipendentemente dai contenuti narrativi, e se li intendiamo così capiamo perché una critica che mette a fuoco la trama non è in grado di dire niente sullo stile. Indi lo stile è personale, si manifesta soltanto attraverso un opera originale. Ma la possibilità di definire lo stile di un cineasta pone un problema notevole: se ci sono costanti che segnano uno stie particolare e lo distinguono da altri, i tratti caratteristici, quando ritornano, divengono pure ricette di cui chiunque è in grado di appropriarsi. Stando così le cose la nozione di maniera sarebbe la copia di procedimenti che sono stati originali la prima volta che furono usati, ma che sono diventati banali quando sono emersi in opere successive. La maniera sarebbe quindi lo stile una volta che si è ossificato. Nell’opera di Kurosawa la sua creatività non si manifesta attraverso il suo stile ma attraverso la sua capacità di oltrepassare e mettere in crisi questo stile. Invece lo stile libero di Bergman è troppo flessibile per prestarsi a una distruzione interna. Se lo prendiamo invece nel suo senso generico, il termine stile, serve per parlare della forma di un opera. Quando tentiamo però di andare oltre l’imprecisione del significato banale incontriamo una serie di difficoltà: la messa in evidenza di uno stile presuppone l’individuazione di un minimo di regolarità o di tratti ricorrenti; non si possono trarre conclusioni da un esempio unico.
Nella misura in cui può essere analizzato e descritto uno stile  è riproducibile, diviene una maniera. Sono quindi tentato di penare che un cineasta che ha uno stile è molto dotato ma non è un creatore.

Tratto da LO STILE CINEMATOGRAFICO di Laura Righi
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