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Lo spettatore come beneficiario del film

Lo spettatore come beneficiario del film



I contributi cui si è fatto cenno non portano solo a correggere qualche particolare o a integrare qualche dato, ma a dipingere una nuova figura e inscriverla in un nuovo campo teorico: al decodificatore si sostituisce così l’interlocutore, e alla semiotica strutturalista quella di ispirazione testualista.
La trasformazione, proprio perché coinvolge sia l’oggetto dell’indagine sia il taglio dell’analisi, opera a più livelli e a più piani: se prima si pensava a qualcuno ai bordi della rappresentazione, adesso si pensa a qualcuno chiamato ad annodare i fili della trama: un vero beneficiario, visto che è per lui che si intreccia la tela, e un polo obbligato, visto che la sua cifra è già ricamata nel tessuto.
Inoltre, col mutare del profilo dello spettatore muta contemporaneamente il modo d’intendere il suo intervento: se prima si credeva che per affrontare le immagini e i suoni bastasse il possesso di un cifrario, adesso si crede necessaria anche una conoscenza in grado di padroneggiare l’intera situazione, insomma un sapere aperto, che a una sintassi e a un lessico affianchi un’enciclopedia.
Dunque non si ragiona più in termini di ricorso ad un codice, ma in termini di competenza.
Infine, col mutare del profilo dello spettatore muta anche il modo di intendere il suo terreno d’esercizio: se prima si vedeva in ciò che appare sullo schermo una disposizione ordinata di elementi, valutabili in rapporto al peso di ciascun componente e alla linea dell’intero complesso, adesso si vede un organismo che nello stesso tempo subisce ed influenza l’ambiente.
Nella rete di complicità che legano la figura e lo sfondo, il parallelismo tra spettatore e film è forse quello che risalta di più: alla percezione di un’iniziativa da parte del personaggio corrisponde la scoperta di un luogo percorribile, ad un impegno che ci si accorge essere in prima persona corrisponde la messa a fuoco di una macchina che sollecita e registra l’intervento altrui, a un convenuto che si rivela giocatore provetto corrisponde una smazzata che offre molte carte vincenti; è significativo del resto che la maggior variazione terminologica riguardi proprio l’oggetto audiovisivo: non si parla di opera o di messaggio, ma di testo.
Qualcuno potrebbe osservare che è perlomeno azzardato imporre al cinema il nuovo orientamento disciplinare, vista la separazione che c’è tra lo schermo e la sala: sarebbe insomma scorretto parlare di interlocutore e di testo, dal momento che il film non guarda fuori di sé, e chi guarda è fuori del film; ma è la macchina cinematografica in se stessa, al di la dei singoli ingranaggi, a disporsi come una trappola pronta a catturare chiunque entri nel suo raggio d’azione: l’esibizione di un mondo fa aggio sull’operare di una pulsione scopica, la riproposta di un frammento di vita risponde a dei bisogni profondi, e dunque ad ogni istante il film pone davanti a sé un punto in cui raccordare le proprie mosse e in cui cercare una replica; il film insomma si dà a vedere1, come meta da raggiungere o come sponda su cui rimbalzare.

Tratto da CINEMA di Nicola Giuseppe Scelsi
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