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Il flashback di Paura in palcoscenico - A. Hitchkock -



Il flashback, in sé e per sé, non sembra lasciare dubbi sulla figura del narratore: Jonathan racconta il proprio caso esattamente come se lo esponesse chi racconta il nostro film; alla base di questa convergenza ci sono quattro snodi:
- un tacito mandato: l’enunciatore, che si è appena affacciato nei titoli di testa, passa la mano al primo entrato in scena; quasi a volergli affidare i propri compiti, gli chiede di prendere la parola e di presentare l’antefatto della storia.
- un parallelismo di competenze: chi guida il film è in grado di farlo perché da sempre ha in mano tutti i fili della vicenda – dominando anche i buchi del racconto: sa di non sapere – e allo stesso modo Jonathan è in grado di evocare quanto è accaduto perché lo ha vissuto pienamente; il dominio della situazione dà sia a chi è in posizione di enunciatore, sia a chi è in posizione di narratore, il diritto e la capacità, l’obbligo e l’intenzione, di avanzare una propria versione dei fatti.
- una somiglianza di comportamenti: tanto l’autore del film che l’autore della confessione portano avanti un racconto, oltretutto scandito dagli stessi toni, e caratterizzato dalla stessa ambientazione e dagli stessi personaggi; entrambi insomma sono impegnati nella medesima impresa, compiuta con eguali mezzi e volta a eguali scopi.
- un’implicita sanzione: chi guida il film ratifica la prova di chi narra la propria avventura, sia fornendo degli immediati riscontri a quanto egli dice, sia facendo proprio e circostanziando quanto egli espone; dunque, l’autore del nostro film aiuta e rinforza l’autore della confessione.

Tratto da CINEMA di Nicola Giuseppe Scelsi
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