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La teoria di Martin Hoffman: l’empatia e lo sviluppo morale

La teoria di Martin Hoffman: l’empatia e lo sviluppo morale



Il modello elaborato da Hoffman fornisce una descrizione dello sviluppo dell’empatia più articolata e complessa di quella di Feshbach. Hoffman, infatti, estende la definizione di empatia a una serie più ampia di reazioni affettive coerenti con il sentimento provato dall’altro e colloca le prime manifestazioni di empatia nei primissimi giorni di vita. Egli, inoltre, non considera più l’empatia come “unitaria”, ma l’articola in diverse forme che, man mano che procede lo sviluppo, diventano più mature e sofisticate.

Un modello a tre componenti: affettiva, cognitiva e motivazionale

Secondo Hoffman l’empatia si manifesta fin dai primi giorni di vita. Questa considerazione riflette la maggiore autonomia e rilevanza attribuita alla dimensione emotiva dell’empatia, ridimensionando il peso dato da Feshbach alle abilità cognitive. Nelle primissime manifestazioni empatiche, infatti, è la dimensione affettiva ad avere il ruolo di maggior rilevanza, mentre la dimensione cognitiva è pressoché assente.

Procedendo nello sviluppo, la componente cognitiva acquisirà un’importanza crescente e si compenetrerà sempre di più con quella affettiva, permettendo lo sviluppo di forme più evolute di empatia.

Oltre alla componente cognitiva e a quella affettiva, secondo Hoffman interviene nell’esperienza empatica un terzo fattore: la componente motivazionale. L’esperienza di empatizzare con una persona che sta soffrendo, infatti, rappresenterebbe una motivazione per mettere in atto comportamenti di aiuto. L’effetto motivante dipende dal fatto che condividere l’emozione dell’altro, soccorrendolo, fa provare a chi aiuta uno stato di benessere; viceversa, la scelta di non confortare l’altro porterebbe con sé un senso di colpa. 
 

Lo sviluppo della responsività empatica

Hoffman definisce cinque ipotetiche forme o manifestazioni del sentimento empatico:

  • distress empatico globale: nei primi mesi di vita i neonati non sono in grado di percepire se stessi e gli altri come entità distinte. Quando i neonati percepiscono la sofferenza di qualcuno, ne fanno propria l’emozione, vivendola come se quello stato emotivo non avesse una causa esterna (quel bambino è triste), ma interna (io sono triste). Al suo primo apparire, quindi, l’empatia si connota come una reazione affettiva, automatica e involontaria, che in molti autori prende il nome di contagio emotivo;
  • distress empatico egocentrico: intorno al primo anno di vita, con l’acquisizione della permanenza dell’oggetto, i bambini cominciano a percepire una distinzione tra sé e l’altro, anche se non sono ancora in grado di distinguere tra i propri stati interni e quelli altrui. In questa fase i bambini mimano le emozioni provate dall’altro, spesso lo guardano silenziosamente, talvolta mettono in atto comportamenti che potrebbero apparire tentativi di aiuto, ma che di fatto sono finalizzati ad attenuare il proprio stato di angoscia. 

  • distress empatico quasi-egocentrico: tra il primo e il secondo anno, nei bambini si fa più chiara la distinzione tra i propri stati interni e quelli degli altri. Iniziano così a mettere in atto comportamenti tesi a confortare l’altro (abbracciandolo, accarezzandolo), ma l’egocentrismo permane nella scelta di utilizzare, per dare conforto, gli oggetti che sono significativi per se stessi. Ad esempio, un bambino che vede un altro piangere, potrebbe offrirgli il proprio orsetto; 

  • vera empatia per lo stato d’animo di un ‘altra persona: la Consapevolezza che gli altri hanno stati interni (pensieri, sentimenti) diversi dai propri emerge intorno ai 2 anni. Acquisita questa capacità, lo stesso bambino che, pochi mesi prima, per confortare un compagno triste gli avrebbe portato il proprio orsetto, adesso andrebbe a cercare quello del compagno. Il bambino riesce, ora, a empatizzare con i sentimenti e i desideri dell’altro in modo più profondo e il suo aiuto risulterà più efficace. Verso i 6 anni si sviluppa una maggiore competenza linguistica, che consente ai bambini di interagire più appropriatamente con significati simbolici e si consolida la capacità di decentramento, che rende i bambini più abili nell’assumere il ruolo dell’altro; 
    inseribile

  • distress empatico oltre la situazione: a partire dai 9 anni, i bambini, avendo sviluppato un senso di sé stabile e coerente, realizzano sempre più compiutamente che anche gli altri individui hanno una propria identità e che quest’ultima influenza i loro comportamenti nelle diverse situazioni. Da questo momento in poi la conoscenza della vita degli altri e delle loro esperienze passate inizia a influenzare le risposte empatiche. L’empatia, nella sua forma più matura, si caratterizza, quindi, come una risposta a un insieme (li stimoli comprendenti il comportamento, l’espressività e tutto ciò che si conosce dell’altro. L’acquisizione di questa funzione, dato l’alto livello di complessità dei meccanismi cognitivi implicati, ha un’evoluzione graduale che trova, in buona parte delle persone, pieno compimento intorno ai 13 anni. 

Tratto da CHE COS'È L'EMPATIA di Anna Bosetti
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