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Francesco Guicciardini – La storia e lo storico

Francesco Guicciardini – La storia e lo storico


L'inizio dell'opera è costituita da una ventina di righe, divise in due ampi periodi quasi equipollenti, legati da una subordinata, la cosiddetta coniunctio relativa, cara a Guicciardini come lo era stata già a Boccaccio. Si tratta in realtà di un unico periodo, smisurato quanto audace, che proprio per questo ha bisogno di una punteggiatura medio – forte che ne pausi il corso, rendendolo insieme più maestoso; è palese la volontà guicciardiniana di abbracciare unitariamente con la mente l'infinita varietà delle vicende umane.È un brano chiaramente ricco di subordinate: temporali, causali e soprattutto consecutive, vera e propria ossessione del Guicciardini, inteso sempre a comprendere le ragioni dei fatti o casi della storia, e dunque a giudicarli. Ma ancor più caratteristico è come le subordinate esplicite, con tratto stilistico tipico dello storico, ne contengano in sé a scatola cinese delle implicite. Il periodo è dunque è costruito con una precisa impostazione gerarchica, che gradua e subordina l'uno all'altro i fatti secondo  la loro importanza oggettiva e soggettiva: si guardu soprattutto il finale, dove il quando è seguito da tre gerundive coordinate, l'ultima delle quali contiene una participiale, per sboccare finalmente nella frase verbale conclusiva che gli si riferisce, a sua volta però specificata  e rallentata da due complementi di causa in alternativa: il tutto abitato anche da simmetrie entro la spirale. Una lingua fondamentalmente lineare come l'italiano diventa in Guicciardini una lingua tutta sospensioni, cunei e dilazioni.È un brano povero di colori retorici, al massimo ricco di polisillabi e forme superlativanti, che nello spazio breve ripetono l'estensione che domina la costruzione sintattica. C'è una complicata e grandiosa tragicità degli eventi, l'abbraccio dello storico che li ordina e li giudica. Ne ho già indicato alcune conseguenze stilistiche, o meglio sintattiche. Ora se ne possono segnalare altre due. La prima è l'intrusione nel narrato delle considerazioni e sentenze dell'autore (evidentemente apparirà); la seconda è la tendenza quasi maniacale a distinguere, in obbedienza al principio antimachiavelliano, centrale nei Ricordi, della discrezione (nel senso etimologico di distinguere): varietà e grandezza, empietà e sceleratezze, tanto vari e tanto gravi, o errori vani o le cupidità presenti, o per poca prudenza o per troppa ambizione. Non c'è nulla, negli accadimenti e nelle loro cause, che per Guicciardini sia univoco e semplice. E forse il minimo comune denominatore fra i fenomeni che abbiamo censito è la ramificazione, dell'uno in due, dei pochi in molti, dei periodi che si dilatano comprendendo in sé più frasi possibili, della linearità che s'inverte o accoglie incastri. In altri termini, se Machiavelli tende a far di due uno, Guicciardini fa dell'uno due; e se le disgiunzioni del primo sono dilemmatiche, quelle dell'altro sono distintive e sfumanti, non semplificano ma registrano la complicatezza del mondo e della storia.Lo sguardo dello storico è tutto volto a dominare razionalmente la propria materia: così subito, sempre alla latina e nella forma rilevata dell'apposizione, isolata dalla virgola, alle rr. 3 – 4. Eppure c'è un punto in cui occhio dello storico e materia tendono a coincidere, ed è l'infinita plasticità di quella mente con l'infinita e aggrovigliata varietà dei fatti.E fin da questo paragrafo della Storia d'Italia appare qualcosa che caratterizza la logica dello storico non meno della sua volontà artistica. Questo periodo è, da un lato, complessivamente quadrato, ma dall'altro è, come per successivi cerchi concentrici, avvolgente (cfr. il rapporto tra perturbarla e turbazioni), come se si incontrassero già nella sua fisionomia, dispersione delle cose e capacità regolatrice della mente. Ma non solo: Guicciardini si appresta a narrare con un attacco superbo, Io, che peraltro potrebbe anche richiamare quella civiltà fiorentina dei Ricordi in cui egli era nato: ma a guardar bene in quell'incipit solenne affiora qualcosa che ci sorprende non meno dell'opposizione tra nostra vita e mi ritrovai nel portico della Commedia dantesca, giustamente rilevata e interpretata da Singleton, ed è la compresenza di Io e di nostra, nostri. Dunque lo storico assume su di sé una pluralità di esperienze sovrapersonali a lui vicine e le ordina e interpreta secondo la discrezione (sempre senso etimologico) sua individuale: non è altro che il salto dai ricordi e dalle cronache, confitti nel soggetto quanto dispersi nella molteplicità non dominata  degli eventi, alla magnanimità della storia, tale perché è la mente tucididea di un individuo a organizzarla.

Tratto da STORIA DELLA LINGUA ITALIANA di Gherardo Fabretti
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