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Bartolomeo Facio : De viris illustribus


Nacque a La Spezia intorno al 1400 e morì a Napoli nel 1457. Di famiglia colta e agiata (il padre era notaio), svolse la sua formazione culturale tra Verona, Firenze e Genova. Proseguì la carriera paterna ed esercitò l’attività cancelleresca a Lucca e a Genova. Si trasferì a Napoli nel 1445 al servizio di Alfonso d'Aragona, famoso re umanista, in qualità di segretario e di storiografo ufficiale. Scrive un libretto nomato De viris illustribus dove tratta l'arte figurativa all'interno di una cornice più ampia, che tratta, come sarà poi abitudine consolidata, gli uomini illustri dell'epoca assegnandoli a diverse classi, a seconda del ruolo che hanno svolto in vita. Compaiono così gli eroi, i medici, gli scrittori e naturalmente i pittori e gli scultori. Facio si occupa solo dei maggiori suoi contemporanei, quindi le sue notizie meritano molta attenzione e sono di parecchio valore.
Il capitolo rispecchia innanzitutto ciò che passava all'epoca per “arte mondiale” o “arte alla moda” alla corte di Napoli, che era il grande centro umanistico dell'Italia di allora. Sorprende il grande rilievo dato agli artisti dei Paesi Bassi: le notizie date da Facio sono la più antica fonte scritta per la storia dell'arta primitiva di quelle regioni, spesso vicina e congiunta all'Italia. Dei quattro pittori “classici” di Facio, Jan Van Eyck è definito nostri saeculi pictor princeps, e da Facio deriva la nostra conoscenza di una serie di opere di Van Eyck che allora dimoravano a Napoli e che oggi sono, purtroppo, andate perdute. Viene messa in rilievo la bravura del fiammingo nella resa della “geometria” - cioè della prospettiva – e si parla di come abbia perfezionato la sua tecnica dei colori grazie alla lettura degli antichi, e specialmente di Plinio.
Facio è un commentatore onesto, e si spende in descrizioni approfondite di singoli particolari delle opere da lui direttamente osservate. Confessa anche di non voler parlare di opere di Eyck di cui non ha diretta notizia. È da sfatare la teoria di Becker secondo la quale Vasari prese da Facio il nucleo delle sue notizie su Jan Van Eyck.
Il capitolo su Van Eyck è preceduto da uno su Gentile da Fabriano e seguito da uno su Pisanello. Entrambi, infatti, erano strettamente congiunti all'arte dei Paesi Bassi e stimati e ricercati in tutta Italia. Il quarto posto è occupato da un altro fiammingo, Rogier van der Weyden, ritenuto da Facio scolaro di Van Eyck e delle cui opere aveva potuto apprezzare la bellezza.
Le descrizioni di Facio fanno vedere quali tendenze dell'arte quattrocentesca abbiano maggiormente attirato gli umanisti italiani della prima metò del secolo: l'arte di moda nelle corti, vale a dire quella fiamminga antica. Il capitolo di Facio sugli scultori è molto più breve. Nomina alcuni toscani, afferma che ce ne siano pochi veramente illustri, e di alcuni profetizza il futuro successo, come Donatello, di cui dice ad antiquorum gloriam proxime accedere. Proprio la menzione del Gattamelata di Donatello (collocato al posto nel 1453) ci dà un indizio prezioso per la datazione dello scritto. Con più ampiezza parla solo di Ghiberti e di suo figlio Vittorio.
L'opera di Facuo è la prima che, in conformità dell'ambiente in cui nacque, oltrepassi il punto di vista limitato del fiorentino e tenga conto di tutta l'Italia. È la nostra fonte più antica per la tendenza artistica non italiana che esercitò maggiori influssi, la fiamminga.

Tratto da STORIA DELLA CRITICA D'ARTE di Gherardo Fabretti
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