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Il concetto di provocazione terapeutica

Il concetto di provocazione terapeutica    


Si è inteso comunemente per provocazione un comportamento, verbale o non verbale, perlopiù intenzionale, di sfida nei confronti del sistema, col quale veniva ingaggiata una specie di prova di forza, al fine di modificare le regole di funzionamento.    
Questa definizione ha comportato alcuni malintesi, essenzialmente collegati al concetto di sfida come confronto.    
Il malinteso più pericoloso è quello per cui provocare significa aggredire coloro che sono provocati: la provocazione per essere terapeutica deve accompagnarsi costantemente a un’operazione di joining, cioè deve riuscire a trasmettere che il terapeuta “sta” col sistema nel momento stesso in cui lo attacca (sostegno).    
Un altro malinteso è quello legato alla mancata distinzione tra obiettivo apparente e obiettivo reale della provocazione. La provocazione viene infatti portata al sistema la maggior parte delle volte tramite la persona, ma in realtà stiamo sempre riferendoci a individui all’interno di un sistema.     
Se la provocazione è una forma di rapporto essa deve coinvolgere almeno 3 elementi: il terapeuta, la persona cui è diretta in apparenza la provocazione e un terzo. Il terapeuta viene a collocarsi in un polo del triangolo nel momento in cui provoca il paziente (secondo polo) a confrontarsi con le immagini che via via gli propone o a mettere in discussione le relazioni che lo legano agli altri membri del sistema. Sono proprio le immagini, quando manca l’interlocutore o quando esso fa parte del passato, che costituiscono  il terzo polo. Gli altri partecipanti presenti in seduta a loro volta, in momenti successivi, vengono chiamati a occupare il terzo polo. Si ha cosi una successione di configurazioni triangolari dalle quali il terapeuta, nel corso del suo lavoro, entra ed esce.    
Per quanto concerne invece l’idea di provocarietà abbiamo presente come il comportamento di una persona possa essere altamente provocatorio, mettendo alla prova tutta una serie di regole o di divieti che gli sono posti dalla situazione in cui si trova e cercando di stimolare una reazione da parte di chi gli sta vicino.    
Tuttavia è più difficile cogliere che il concetto di provocarietà è un concetto relativo, che trae origine dall’interazione di numerosi elementi.    
Una domanda è provocatoria quando turba un equilibrio, quando crea movimento dove c’è una situazione statica, cioè rimette in discussione il significato che è stato attribuito a un aspetto della realtà al termine di un processo di valutazione, cogliendo elementi passati inosservati o temuti che richiedono un nuovo procedimento di analisi e di scelta.    
La provocarietà di una domanda si definisce solo all’interno di rapporti: corollario indispensabile di un’azione provocatoria è l’esistenza di regole di rapporto, cioè non solo le norme legate alle relazioni esterne e condivise dagli altri, ma anche le norme “intrapsichiche” che mettono in atto scenari interiori, creatisi nel corso del tempo attraverso l’interazione con altri significativi.    
Non si avrebbe un comportamento provocatorio se questo non mettesse alla prova le modalità di risposta e di relazione del sistema, in riferimento a quel particolare elemento che si va a sollecitare; si innesca così una catena di fluttuazioni rispetto a uno stato di equilibrio, in larga misura indipendenti dallo stimolo originario ma legate le une alle altre.    
La connotazione di sfida è di solito strettamente conseguente a una resistenza da parte del sistema, sollecitato nel suo equilibrio dall’intervento di chi provoca. Solitamente quando si vanno a toccare aspetti delle relazioni o delle persone particolarmente conflittuali o contrastanti con l’immagine che ne è stata costruita e che viene mostrata all’esterno, vi è una reazione di distanziamento o di opposizione all’immagine o alla definizione proposta: l’amlificazione di questo vissuto, conseguenza inevitabile di ogni provocazione riuscita, tenta di rimettere in moto un processo là dove momentaneamente abbiamo un’etichetta cristallizzante.    
Ma non sempre è così: vi sono situazioni in cui le persone e il sistema in cui esse sono inserite non “contrastano” la provocazione ma, dopo un primo momento di disorientamento, aderiscono a quanto viene detto, collaborando alla creazione di un nuovo contesto percettivo.    
Sia che la provocazione venga assecondata, o solleciti, invece, un movimento di resistenza, essa trasmette informazione, perché introduce elementi nuovi nel campo percettivo determinando una sua ristrutturazione almeno parziale.    
La differenza tra il primo e il secondo caso è solo una differenza di intensità: un comportamento è ritenuto tanto più provocatorio quanto maggiore è l’intensità della sollecitazione che esso determina nei confronti delle regole a cui si contrappone. Ma l’intensità è relativa alla rigidità delle regole, e quindi una serie di atteggiamenti sarà considerata più o meno provocatoria a seconda della maggiore o minore elasticità degli schemi di valutazione e di riferimento adoperati da coloro verso i quali essi sono diretti.    
Un’altra considerazione importante è che la validità e la qualità delle regole sono relative al contesto, il quale sottolinea l’importanza di alcuni elementi piuttosto che di altri al suo interno.    
Dunque una risposta deve tener conto dei fattori che condizionano l’esistenza stessa di una provocazione:
a) il fatto che essa metta alla prova o tenti di modificare con una certa forza norme o schemi percettivi e comportamentali all’interno di relazioni;    
b) che si scontri con una particolare rigidità degli stessi o che presenti degli aspetti della realtà talmente nuovi da generare un forte stato di tensione;    
c) che il contesto favorisca  il manifestarsi di tali elementi.    
Tutti questi fattori riconducono a un tempo e a uno spazio entro i quali si definiscono, pertanto possiamo riconoscere un tempo della provocazione.    
Dunque concepire la provocazione come un comportamento con caratteristiche di aggressività manifesta è molto riduttivo: l’effetto di stress nei confronti delle persone verso le quali la provocazione è diretta e del sistema a cui esse appartengono può essere ottenuto indipendentemente dagli aspetti esteriori e formali della provocazione. Vi è quindi una differenza tra l’intenzione di essere provocatori e l’esserlo veramente, anche se il comportamento esteriore può sembrare molto provocatorio.

Tratto da TEMPO E MITO IN PSICOTERAPIA FAMILIARE di Antonino Cascione
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