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La lettura del film : la presenza di un interfaccia




Si è parlato in apertura del contrasto tra un modello interpretativo ed un modello generativo, potrebbe perciò sembrare paradossale recuperare qui un termine dapprima escluso: se non fosse che è proprio il punto a cui siamo arrivati ad autorizzare una tale operazione. Infatti l’idea di una mediazione consente di vedere fino in fondo i rapporti tra il film e il momento della sua lettura:
- sia perché esplicita il fatto che c’è uno spettatore nelle pieghe delle immagini e dei suoni che cresce con il loro crescere;
- sia perché spinge le ipotesi avanzate dal testo verso la loro realizzazione, le raccorda a uno spazio concreto, le consegna a una verifica individuale, e persino idiosincratica.
Detto meglio, la presenza di un’interfaccia dà una piena legittimità e un maggiore spessore al problema della riappropriazione cui va incontro il film, e ciò per almeno due motivi.
Innanzitutto, questa presenza ci ricorda che ogni testo, offrendosi, assume un impegno preciso: si orienta verso un interlocutore, si dispone al futuro, insomma costruisce la propria apertura all’altro.
Tuttavia, non si tratta solo
- di affacciarsi a dei bordi, ma anche di sporgervisi;
- di affrontare un destino, ma anche di addentrarvisi.
La presenza di un interfaccia soddisfa egualmente questa seconda esigenza: collocandosi tra l’enunciato e l’atto di comunicazione, tra la raffigurazione dei ruoli e l’intervento di corpi, esso dà al precedente impegno, ben scrivibile in quanto talein un quadro generativista, la possibilità di uno sbocco.
Certo, l’ambito che avanza è pur sempre marcato dalla separatezza:
- è il fuoricampo irraggiungibile che si spalanca davanti all’interpellante;
- è il controcampo che nella soggettiva separa l’occhio dalla veduta;
- è lo spazio del non visto e del non udito che nel flashback incombe sul narratario.
Ma l’ambito che avanza è marcato anche dalla praticabilità e della ricchezza: è il dominio di un supporto e di una riserva, e dunque il luogo in cui il disegno previsto concretizza le proprie linee e insieme si immette in un nuovo orizzonte, in cui il progetto formulato trova la sua conclusione e insieme si commisura ad apporti diversi.
L’altro cui il testo tende è si inafferrabile per definizione, ma costituisce anche un punto di riscontro essenziale: se si vuole, è una dimora in cui situarsi – un tu ipotetico diventa un tu fattuale – e una sponda su cui rimbalzare – il tu, afferrato, può convertirsi in io –.
Il risultato della doppia manovra promossa dall’interfaccia è di soddisfare tutte le condizioni dell’impresa ermeneutica.
Da un lato abbiamo infatti la possibilità di ripercorrere il testo dal suo interno: a partire da quanto ci viene rappresentato, arriveremo a mettere in luce le istruzioni che esso offre, le consegne che lo punteggiano, insomma le chiavi di cui esso si è dotato.
Dall’altro lato abbiamo la possibilità di affrontare il testo dall’esterno: a partire dalle sue sporgenze e dai suoi aggetti, arriveremo a confrontarlo con lo spazio che gli si spalanca davanti, e cioè con un’area che è si inesauribile e sfuggente, ma che è anche il luogo di un arresto – il corpo come supporto – e di un nutrimento – il corpo come riserva –, di un radicarsi e di un ripartire. Soprattutto, abbiamo la possibilità di compiere i due percorsi – dal dentro al fuori, e viceversa – in perfetta sincronia: essi sono infatti assolutamente complementari.

Tratto da CINEMA di Nicola Giuseppe Scelsi
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