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Roma proclamata città aperta

14 agosto 1943

La proclamazione di "Roma città aperta", fatta il dal ministro degli Affari Esteri, Raffaele Guariglia, risolleva lo stato d'animo della popolazione romana.
Attraverso la Santa Sede e il canale diplomatico dei paesi neutrali, Svizzera e Portogallo, viene comunicata ai governi di Londra e Washington la nota ufficiale, contenente tale dichiarazione.
Il Comando Supremo italiano, in seguito a tale nota, ordina immediatamente alle batterie antiaeree della zona di Roma di non reagire in nessun modo in caso di passaggio aereo nemico sulla città; comanda poi lo spostamento di sede dei comandi italiani e tedeschi e delle rispettive truppe; si impegna a trasferire gli stabilimenti militari e le fabbriche di armi e munizioni e a non utilizzare il nodo ferroviario romano per scopi militari, né di smistamento, né di carico o scarico, né di deposito.
Però tutto ciò non è sufficiente. Per prima cosa, si tratta di una dichiarazione unilaterale: essa non ha alcuna efficacia se proclamata da una sola delle parti in causa. Non contiene alcuna precisazione topografica, concordata o no, neppure sui limiti della "security zone", della "zona di sicurezza": ciò ne fa una dichiarazione altamente incompleta. Inoltre, l'istituto della "città aperta" non è regolato da norme di Diritto Internazionale: unica certezza, è che l'espressione "città aperta" significa che la città non possiede mezzi difensivi o offensivi, e che per tali ragioni è esente da bombardamento o da attacco. In particolare, riguardo tale questione, se anche l'impegno italiano a smilitarizzare la città può ritenersi sincero e realizzabile, ottenere quello tedesco risulta pura utopia.
Per questi motivi, i governi alleati rifiuteranno di accettare la dichiarazione e si riserveranno «piena libertà di azione nei riguardi di Roma». Roma che infatti sarà bombardata dagli Alleati altre 51 volte dopo il 13 agosto, fino al 4 giugno '44.

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