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APPROFONDIMENTI

La scienza è ignorante. Critica allo scientismo persistente.

05/12/2006

La scienza è ignorante. Critica allo scientismo persistente.

Pensavo che il tempo dei maghi e degli illusionisti fosse finito, il tempo delle verità promesse, dei problemi risolti, dei professionisti del vero. Mi ritrovo, oggi, a dover smentire, a confutare dei profeti, dei tecnici che, indossati i panni della scienza, lanciano il loro sputo oltre confine, discettano di morale, di ontologia e di religione con l'unico strumento che si ritrovano, il metodo sperimentale.
Convinto, nella mia ignoranza, che uno scienziato fosse un uomo sufficientemente consapevole delle proprie possibilità e dei propri limiti, un uomo per questo saggio, forse più di ogni altro contemporaneo, un uomo che ha capito più di altri fino a che punto ci si può spingere con gli strumenti che si hanno a disposizione. Pensavo che dopo Kant, dopo Nietzsche, dopo il ventesimo secolo con Popper e Einstein e dopo tutti quegli uomini che hanno messo ben in chiaro le possibilità conoscitive dell'umanità, non vi potesse essere più scienziato che potesse parlare di ''armonia del mondo'', di ''ordine della natura'', di ''intelligenza universale''. Eppure, oggi, mi ritrovo a leggere o ad ascoltare in televisione, fisici, astrofisici e quanti altri che predicano di leggi scientifiche che regolano l'universo, leggi che, udite udite, l'uomo indagando troverebbe insite nella natura stessa. A questo punto è necessario smascherare questi stregoni. Il danno è che oggigiorno, lo sappiamo tutti, la scienza moderna, grazie ai risultati che consegue, risultati di utilità, ha acquistato un'implicita autorità e credibilità i cui confini possono essere spostati a piacimento approfittando dell'ingenuità dell'uomo di strada. Questi stregoni o illusionisti accademici sono spesso in buona fede, essi stessi si fanno ingannare, si fanno prendere la mano dai loro mezzi di ricerca, i cui mezzi, conducendoli alla soluzione di problemi, li illudono di essere così potenti da poter discutere e affrontare qualsiasi argomento. Questi scienziati pertanto sono ignoranti, ignorano le reali possibilità di indagine dei loro mezzi.

2. Le origini di questo scritto

Mi sono laureato in filosofia con una tesi forse singolare, sicuramente molto personale. Cosi recita l'apertura dell'introduzione: «L'APOLLINEO E IL DIONISIACO COME CATEGORIE DELLA CREAZIONE ARTISTICA1 è un viaggio curioso ed insolito che attraverso la ''ragione filosofica'' tenta di indagare l'origine stessa dell'atto creativo. Potrebbe essere questa la definizione più semplice e disimpegnata di tutto il nostro lavoro di ricerca. Se accostare tre nomi, Nietzsche, Freud e Fellini, può suscitare meraviglia, in realtà tutto il percorso è tenuto insieme da un'unica ed effettiva presenza: l'apollineo e il dionisiaco2».
Leggendo il libro La nascita della tragedia del fortunato filosofo tedesco Friedrich Nietzsche, mi sembrò di individuare una valida teoria estetica che potesse spiegare la creazione artistica, teoria ripresa da me e sviluppata in altra direzione. Nel mentre lavoravo alla tesi e approfondivo il pensiero di Nietzsche, la mia attenzione si rivolgeva sempre più alle capacità creative dell'uomo in generale, al suo rapporto con il mondo e con sé stesso. Da quelle idee, presenti nella tesi di laurea, prendo l'avvio per parlavi qui ed ora. Forse non farò altro che riportare quelle idee senza aggiungervi nulla di nuovo, o forse ne aggiungerò cambiandole, in ogni caso sono convinto che quanto dirò, o quanto ho detto, è un sapere già consolidato nella cultura del ventesimo secolo. Cercherò di renderlo più divulgativo per contrastare quelle false credenze sulla scienza.

3. La storia del Pensiero umano occidentale in breve

Per storia del pensiero umano occidentale intendo lo sviluppo del ''logos filosofico'' dalla sua nascita e le sue manifestazioni nei diversi filosofi fino ad oggi. Il termine ''logos'' nell'accezione originaria dell'antica Grecia significa ''discorso'', da qui ''ragionare'', per infine identificarlo con la ''ragione'' stessa. Il logos nasce quando l'uomo alle domande ''da dove veniamo, chi siamo e dove andiamo'' tenta di rispondere non più con l'immaginazione e il mito (ad esempio Omero), né si accontenta delle indicazioni religiose che chiedono fede acritica, ma inizia a ragionare intorno a ciò che egli osserva, facendo leva, appunto, solo sul logos e sulle sue relazioni di causa-effetto: da una proposizione ne deriva un'altra e così via discorrendo. L'arte dell'argomentare, o meglio del filosofare.
L'istituzione vuole che il primo di questi uomini ''ragionevoli'' sia stato Talete tra il VII e il VI secolo a.C., il quale osservava che ciò che è vivo e dà nutrimento è umido, pertanto concludeva che l'acqua è il principio di tutto. Da qui una schiera di filosofi ''naturalisti'' o ''fisici'' che individuavano, ognuno a modo proprio, negli elementi della natura il Principio della Vita. Il logos si presentò nei secoli successivi con diverse ed opposte sfaccettature, da Parmenide ad Eraclito, dai sofisti a Socrate, da Platone ad Aristotele e tanti, tanti altri fino ad arrivare al medioevo. A Platone si fa risalire la nascita della metafisica (IV sec. a.C). Il termine ''metafisica'' fu coniato dal discepolo di Platone, Aristotele (III sec. a.C), con cui intendeva indicare la realtà oltre la realtà. Metafisica sta per ''dopo'' (''meta'') la ''natura'' (''fisica''), per acquistare col tempo il significato più esteso di ''oltre la natura'', l'essenza della realtà. In Platone si individua il padre della metafisica in quanto è il primo a creare per via del logos la scissione tra un mondo fisico, naturale, sensibile e un mondo ultra-terreno, un aldilà, chiamato ''il mondo delle Idee''3. Con l'avvento del cristianesimo c'è il tentativo da parte di filosofi convertiti alla nuova religione di conciliare il concetto di metafisica greca con la dottrina delle Sacre Scritture. In definitiva molti cristiani filosofi, in prima linea S. Agostino, poi S. Tommaso ed altri, si appellano al logos greco per trovare argomentazioni ragionevoli utili a sostenere e dimostrare gli articoli di fede. Nel medioevo (dal V sec. al XV sec. d.C.) la metafisica vive il suo massimo splendore per l'autorità di cui gode.
Il medioevo finisce quando qualcosa di particolare, qualcosa di veramente nuovo accade. Il logos, la ragione, reclama una posizione, un ruolo ben differente da quello occupato nel medioevo. Reclama il ruolo che già aveva nella filosofia greca, quello di libero ricercatore della verità e non di ''ancilla teologiae'', di servitore della fede cristiana, utile a sostenere e giustificare la religione. Accade che l'uomo si scopre e si vuole riscoprire ''artefice del proprio destino''. Nel medioevo è perennemente prostrato ai piedi della Fede; nel Rinascimento, nell'Umanesimo (XV e XVI sec), rivendica la propria centralità. Non è l'uomo ateo che si ribella a Dio, ma è l'uomo che acquista una maggiore dignità per mezzo della quale si propone di glorificare e testimoniare Dio. Per capire la portata del cambiamento basti pensare la rivoluzione ad opera del matematico Copernico che propose di cambiare totalmente l'idea che si era avuta fino ad allora dell'Universo: la Terra non deve stare più al centro, i pianeti ed il Sole non devono ruotano più attorno alla Terra, ma questa, alla stregua di un qualsiasi altro pianeta deve ruotare intorno al Sole che ora si trova al centro dell'Universo. La Chiesa assiste ad un ribaltamento di quel sistema astronomico, il sistema di Tolomeo, che i pensatori medievali tanto avevano faticato per renderlo compatibile con la Bibbia. L'uomo va avanti, il logos scalpita, non si contiene e vola libero. E' in questo periodo che il logos si dirama, prende due direzioni. La prima è quella filosofica, continua, cioè, nella sua libera ricerca senza condizionamenti esterni, affidandosi alla sua pura natura dell'argomentazione, da una proposizione ne deriva un'altra e poi un'altra e un'altra ancora, per deduzione logica.
La seconda direzione è quella scientifica. Fino ad allora ''scienza'', ''vera conoscenza'', era la filosofia, ma tra il cinquecento e il seicento accade che il logos sottoposto a condizionamenti stabiliti, innanzitutto ad un metodo comune, il ''metodo sperimentale'', produce risultati tangibile e riscontrabili tale da meritarsi nei secoli successivi l'appellativo di ''logos scientifico'', titolo strappato alla filosofia in seguito ai risultati e alla soluzione dei problemi sottoposti. E' con Galileo che viene elaborato un metodo il quale mettendo sotto controllo il logos consente di ritagliare porzioni di realtà sottoponendoli a verifica sperimentale per ottenere delle risposte a delle domande di utilità materiale4.
Anche sul versante filosofico il logos attua delle rivoluzioni. E' con Cartesio, sempre nel seicento, che il logos assume un ruolo ancora più significativo nella storia della filosofia. Cartesio, tra una mole di complessi sistemi filosofici accatastati in duemila anni, è alla ricerca di una verità chiara e distinta che finisce per intravedere nella celebre quanto semplicissima affermazione ''cogito, ergo sum'' (''penso, dunque sono''). L'esistenza dell'uomo viene affidata al logos. Il logos diventa la prima certezza, quella più immediata. Di una cosa non posso dubitare, che sto pensando. Il pensiero, la ragione umana è centrale, una conquista che innesca un meccanismo irreversibile, diretto ai giorni nostri: il ''cogito'' cartesiano dà l'avvio al processo di autonomia del logos dalla metafisica. Presso i greci il logos crea la metafisica, nel medioevo la giustifica asservendosi ad essa, nella modernità punta al riscatto.
Giunge così l'Illuminismo del settecento. Il logos viene deificato, si trasforma in ''dea Ragione''. Nulla è vero se non passa il vaglio della Ragione. In alcuni pensatori la metafisica viene messa al bando alla stregua di una qualsiasi superstizione5.
Al secolo dei lumi appartiene Kant. Egli si fa carico di stringere in un unico abbraccio tutti i problemi lasciati in sospeso dal logos. Tenta di darne una soluzione unica: dal razionalismo cartesiano all'empirismo inglese. Quali sono i confini della scienza? Quali quelli della metafisica? Quali quelli del logos? E' possibile una morale universale? Per rispondere a queste domande, Kant realizza la sua personale ''rivoluzione copernicana''. Si tratta di una vera rivoluzione nella storia del pensiero umano. Copernico spostò la Terra dal centro dell'universo mettendovi il Sole e facendovi girare attorno tutti i pianeti, in questo modo molti fenomeni fisici e astronomici che fino ad allora non venivano spiegati lo furono. Kant adottò il medesimo criterio con il logos. «Fino ad allora, si era tentato di spiegare la conoscenza supponendo che fosse il soggetto a dover ruotare intorno all'oggetto; ma, poiché in tal modo molte cose restavano inspiegate, Kant invertì i ruoli e suppose che fosse l'oggetto a dover ruotare attorno al Soggetto»6. Fino ad allora, si era tentato di spiegare la conoscenza credendo di dover trovare negli oggetti, o fenomeni, le leggi che li regolano, si credeva che il soggetto, il logos, non faccia altro che rilevare delle leggi, dei principi, presenti nella realtà sensibile, a prescindere dall'esistenza del logos stesso. Ora, Kant sostiene che molte cose si spiegano solo se supponiamo che il logos pone nell'oggetto quelle stesse leggi che rileva, «la ragione vede solo ciò che lei stessa produce secondo il proprio disegno»7 . La ragione applica le proprie categorie conoscitive ad una realtà informe e a questa dà senso, un senso che esiste solo grazie alla ragione. Le categorie della ragione non si possono applicare alla metafisica perché essa non ha nulla di sensibile, non è realtà percepibile con i sensi, e la sensibilità è una delle condizioni a priori della conoscenza; pertanto della metafisica per via conoscitiva il logos non può dir nulla8 .
Da questo momento tutto diventa ancora più chiaro. Anche Shopenhauer, siamo nell'ottocento, batte la stessa strada affermando: «Il mondo è una mia rappresentazione: ecco una verità valida per ogni essere vivente e pensante. [...] [L'uomo] sa che il mondo circostante non esiste se non come rappresentazione, cioè sempre e soltanto in relazione con un altro essere, con il percipiente, con lui medesimo»9 . E' la direzione intrapresa dal logos dopo il medioevo: «Che il mondo sia una nostra rappresentazione, che nessuno di noi possa uscire da se stesso e vedere le cose per quello che sono, che tutto ciò di cui ha conoscenza certa si trovi dentro alla nostra coscienza, è la ''verità'' della filosofia moderna da Cartesio a Berkeley»10 . A Kant e Shopenhauer fa eco Nietzsche. Ma ancor prima dobbiamo parlare di colui che chiude il cerchio attorno al logos. Costui è Hegel. Questo filosofo porta alle estreme conseguenze il razionalismo di Cartesio e di Kant. E' vero, sostiene Hegel, il logos non solo dà luce al mondo ma è il mondo stesso. La realtà si identifica con la ragione. Tutto ciò che è razionale è reale e tutto ciò che è reale è razionale. Questo perché la Legge del logos è la stessa che determina il mondo. Questa legge si chiama ''dialettica''. Essa ha tre momenti: tesi, antitesi e sintesi. E' la legge dell'argomentare, del ragionare così come ha fatto il logos in tutti i secoli. La tesi è la prima proposizione, l'antitesi è quella successiva che la contraddice e da ciò ne consegue una sintesi, una conclusione successiva in una continua ed eterna spirale di tesi, antitesi e sintesi. In questo modo Hegel ha chiuso il cerchio intorno a ciò che si poteva dire ancora del logos. Inoltre la sua filosofia rappresenta la presa di coscienza assoluta del logos: tutto ciò che la filosofia aveva detto fino ad allora era solo un meditare del logos sul logos stesso, niente di più. Da Hegel in poi, non si possono più costruire grandi sistemi filosofici, tutto era stato detto intorno al logos, la sua Legge era stata scoperta. Se qualcosa di nuovo si vuol fare non resta che distruggere, nullificare. Così la pensa Nietzsche. Egli è distruttivo nei confronti del sapere tradizionale: il fatto, la storia, le esperienze tutte sono stupide, non hanno una logica propria, siamo noi a dare un senso alle cose. Il logos è stato spinto sino all'estremo dalla filosofia e dalla scienza che crede di controllare il mondo. Il logos non svela il mondo, ma gli conferisce un senso utile solo a noi stessi. Pertanto la stessa metafisica torna ad essere ciò che è sempre stata, un'invenzione di Platone, un'invenzione del logos: Dio e la metafisica da questo momento sono dichiarati morti con i tutti i valori assoluti ad essi connessi.
Dopo Nietzsche, dopo Hegel la filosofia è allo sbando, il ''logos filosofico'' è allo sbaraglio. Siamo alla fine dell'ottocento. Il logos ha la sensazione di essersi ritrovato con un pugno di mosche in mano dopo 2500 anni di argomentazioni. Tutto sembra perduto. A questo punto la filosofia stessa, non più produttiva, passa in secondo piano nella vita dell'uomo. Alcuni parlano di morte della filosofia, ma si tratta di un inconsapevole errore di identificazione della filosofia con la metafisica11 . La filosofia del novecento è una filosofia che annaspa, che cerca una nuova identità, una nuova missione. Fino ad allora aveva cercato il senso della vita, adesso cerca il senso della propria vita. Si va dalla filosofia applicata alla scienza, e in alcuni casi vuole prendere in prestito il metodo della scienza, alla filosofia che, cercando nuove forme di divino, si oppone alla scienza, perché sull'altro versante, il gemello nato dallo stesso parto trecento anni prima, il ''logos scientifico'', gode di ottima salute, è sempre più cresciuto, sempre più sano e si è andato a sostituire alla filosofia.
Ma, tutte le filosofie del XX secolo trovano forse un punto d'incontro nel convenire che la scienza «esclude di principio quei problemi che sono i più scottanti per l'uomo, il quale, nei nostri tempi tormentati, si sente in balia del destino; i problemi del senso e del non-senso dell'esistenza umana nel suo complesso».12 Una questione aperta, riassunta nelle parole di Husserl, che oggi tutti discutono, e che Papa Ratzinger sembra averne fatto il primo punto del programma del suo pontificato.

4. Karl Popper e il riscatto della ''ragione filosofica'' su quella ''scientifica''

Alla scalata verso il successo della scienza pose dei paletti di orientamento il filosofo di origine austriaca Karl Popper. Nel 1934 egli pubblica la sua opera più importante, Logica della scoperta scientifica. Popper è sulla strada intrapresa dal ''logos fiolosofico'' da Kant in poi, una ragione che non scopre le leggi della natura, ma formula solo delle teorie utili all'uomo, che servono a risolvere un problema, una ragione che non trova nella natura leggi preesistenti, ma trova solo ciò che la ragione stessa vi pone per risolvere dei problemi; teorie, pertanto, che possono essere sostituite da altre migliori in quanto risolvono meglio i problemi. In altre parole, Popper trasporta i risultati a cui era approdato il ''logos filosofico'', e che abbiamo visto nel paragrafo precedente, sul piano di analisi del ''logos scientifico''. Popper sostiene che le leggi scientifiche non devono essere dei dogmi, delle leggi eterne ed assolute, quelli spettano alla metafisica. Una legge eterna e assoluta non è scienza ma metafisica. La ''ragione scientifica'' procede formulando delle ipotesi che possono essere inizialmente condizionate anche dalla fantasia, dal mito e dalla metafisica. Si tratta ovviamente di ipotesi che vanno poi provate, sottoposte a sperimentazione, se vogliamo che risolvano un problema. Ma, ecco il punto fondamentale, la cosa più importante e che tali ipotesi si devono presentare sempre come falsificabili. «Una teoria, per essere provata di fatto, deve essere provabile o controllabile di principio, deve in altre parole essere falsificabile»13 , deve disporsi al controllo pubblico, da chiunque, e pertanto disposta a sottoporsi a qualsiasi prova di falsificazione. Se esce indenne da tali prove la teoria risulta buona per risolvere un tal problema, se ne esce falsificata la teoria non è valida, non è scientifica, e in ogni caso qualora risultasse valida verrebbe prima o poi sostituita da una teoria migliore. Per Popper la scientificità di una teoria è data dal principio appena esposto, definito criterio di falsificabilità.
Il ''logos filosofico'' di Popper definisce meglio la natura del ''logos scientifico'' che, agli inizi del novecento, peccava di scientismo positivistico, di assurde convinzioni sulla infallibilità della scienza e delle leggi scientifiche, nonostante la teoria della relatività di Einstein di inizio secolo avesse smentito l'assolutezza della fisica classica di Newton.
Per sostenere la fallibilità delle leggi scientifiche sarebbe sufficiente dire che, come nel caso di Einstein con Newton, basti rilevare tutti i casi di teorie scientifiche superate da altre. Questo argomento logico basterebbe per dimostrare che le leggi scientifiche non sono presenti nella natura ma scaturiscono dalla relazione tra il logos e la realtà esterna, come da Kant in poi la filosofia ha compreso14. D'altronde il criterio di falsificabilità di Popper non è altro che il convogliare la presa di coscienza che ''la presunzione è un male'' in uno strumento di ricerca . Popper non fa altro che trasformare in criterio di ricerca scientifica una regola di vita valida in ogni contesto: non bisogna essere presuntuosi ma bisogna essere aperti al nuovo, disposti a cambiare, disposti a mettersi sempre in discussione. Aperti al nuovo se si vuole migliorare. Un atteggiamento saggio di vita trasformato in teoria utile alla scienza. Potremmo dire la scoperta dell'acqua calda, ma non è così per la scienza, visto che si è reso necessario imporlo come criterio regolativo.

5. Cos'è la scienza

La scienza è una tecnica d'indagine che si è data strumenti appropriati ai suoi scopi. Nasce nel seicento per risolvere problemi materiali. Dal logos filosofico si stacca una costola, il ''logos scientifico''. La filosofia non si propone di risolvere problemi materiali, ma per sua natura si propone la libera contemplazione, il pensiero per il pensiero senza alcuna fretta di soluzione, pur essendo influente per la vita. La scienza non è altro che il logos che si impone un metodo per ottenere risultati utili alla soluzione di problemi materiali. E dopo tanti secoli di logos, Galileo capì che l'unico modo per ottenere ciò fu quello di istituire un metodo che consentisse a tutti di verificare oggettivamente le ipotesi enunciate, perché la forza della sperimentazione è che essa è pubblica, adotta un metodo comune a tutti, grazie al quale tutti possono verificare la validità di una teoria.
Il controllo sulla natura operato dalla scienza è finalizzato alla soluzione di problemi materiali. Non è la scienza che scopre le leggi della natura, ma è la scienza che piega la natura alle sue leggi per ricavarne utilità pratiche. Questa è l'indole della scienza. Il metodo sperimentale serve da strumento di mediazione tra il logos e la natura per ottenere un risultato diverso dalla filosofia: piegare la natura alle leggi che il logos adatta alla natura. Il logos filosofico non si è mai proposto di controllare la natura ma di spiegarla; il logos scientifico si propone di controllarla applicando le sue leggi. Il logos con le sue leggi si fa interprete della natura nella misura in cui da essa vuole la soluzione di un problema. Ma un'interpretazione, per definizione, non è un dato di fatto, è il filtraggio operato da un interprete di una realtà sconosciuta. Una teoria scientifica è la migliore interpretazione della natura in uno specifico contesto per dare la migliore soluzione ad un problema. E' il dare senso ad una realtà, un senso che prende la direzione, nella sua fase di formazione, verso ciò che è più utile alla soluzione del problema. Un senso il cui creatore è l'uomo.

6. L'uomo conosce solo ciò che egli stesso crea. Il senso della vita.

Mi ritrovo ancora oggi a dover smentire dei ''maghi scientifici'' i quali sono convinti, nello stupore delle loro ricerche di scovare l' ''armonia dell'universo''. Ci sono scienziati che credono di vedere ordine nel mondo senza rendersi conto che quell'ordine l'hanno messo loro. La mente umana, il logos, ordina ogni cosa per renderla a noi intelligibile, chiara. L'ordine che noi vediamo non è altro che la proiezione, l'oggettivizzazione del nostro logos. Al di fuori della nostra mente c'è solo il caos, e se ci fosse un ordine probabilmente non saremmo in grado di vederlo, perché allo stato attuale, ciò di cui siamo sicuri e che noi ordiniamo le cose per come sappiamo fare e per come ci conviene, in base alle nostre necessità. Newton scoprì la legge della gravità perché aveva necessità di dare un senso di utilità pratica alla mela che gli cadde in testa. Fino ad allora nessun altro ebbe questa necessità. La legge della gravità esiste solo come creazione, una produzione della mente umana in relazione ad una realtà o esperienza caotica. Tolto l'uomo, tolta la legge. L'intelligenza che uno scienziato può riscontrare nell'universo non è altro che la propria. Se ciò non avviene, allora risulta essere una proiezione inconsapevole.
L'uomo vive in un mondo il cui senso è dato da ciò che egli stesso produce, pensa, dice, scrive o realizza. Un senso del mondo che muta col mutare delle produzioni umane. L'uomo crea il suo mondo dietro gli stimoli della realtà esterna.
Alla domanda ''qual è il senso della vita''? possiamo rispondere che il senso della vita è quello di cercare e dare continuamente un senso. Da ciò che noi stessi creiamo, parole, fatti, disegni, musica, film, ricaviamo un senso e ci formiamo continuamente un senso che cambia con il cambiare delle nostre produzioni. E dalle nuove formazioni di senso creiamo altre cose che ci forniscono altro senso e così via.
Noi costruiamo il nostro mondo, noi creiamo il Mondo. Nella singola individualità ogni uomo crea un proprio universo che s'incontra con quello degli altri, interagisce e scambia informazioni, cerca punti d'incontro.

7. L'etica del Super uomo

L'uomo realizza le proprie leggi e i propri valori. Le leggi naturali e i valori morali. In questa epoca di inizio terzo millennio, i risultati a cui è approdato il logos sono i seguenti.
L'uomo si scopre essere produttore dei propri valori morali, valori pertanto mutabili nel tempo in base alle necessità reali. Fatica a riconoscere ciò ma non può farne a meno. Essere il creatore dei propri valori in base alle necessità delle circostanze significa che il bene e il male sono relativi. Il bene e il male accadono perché ognuno può avere una visione diversa di bene e di male. Per Hitler e il nazismo era sinceramente bene la dittatura e male la democrazia. Per la società post bellica, per i vincitori di Hitler è vero il contrario. Per i comunisti è bene la dittatura del proletariato, per i capitalisti quella è male. Ognuno secondo le proprie necessità. Il male può accadere perché è bene per qualcun altro.
Ciò significa che ognuno è giustificato nelle proprie azioni? Ognuno può fare quello che vuole? Ovviamente no. La morale nasce per regolare i rapporti interpersonali all'interno di una società. La religione stessa ha questa funzione di regolamentazione sociale, di controllo delle ambizioni, degli egoismi che possono minacciare gli equilibri della comunità stessa. Si tratta di regolamentare la volontà di potenza di ogni singolo individuo.
Una morale del Superuomo, come Nietzsche amava definire l'uomo che sopravvive alla morte di Dio, non può prescindere dalla consapevolezza che tutto può essere bene e tutto può essere male. C'è un'assunzione di responsabilità di fondo. Il referente unico non può che essere la ragione che, nella sua imperfezione e precarietà, ci guida nonostante tutto nelle scelte. Agire secondo ragione, come amava dire Kant, significa agire in base a delle valutazioni che devono prendere in considerazione più elementi possibili che concorrono alla migliore soluzione di un problema. Prendiamo ad esempio il caso dell'uso dei profilattici per la questione del sesso sicuro. Prima dell'AIDS probabilmente aveva più peso presso i cattolici la posizione della Chiesa contraria all'uso dell'anticoncezionale, perché viene meno il principio del sesso finalizzato alla procreazione. Con la diffusione del terrore AIDS, con la presa di coscienza, attraverso i fatti, che il profilattico è un buon mezzo di prevenzione, che aiuta a prevenire la distruzione dell'umanità e che l'alternativa sarebbe la castità prematrimoniale e la fedeltà assoluta al coniuge per sei miliardi di abitanti, aggiungiamo la libertà sessuale come valore sempre più diffuso anche presso i cattolici e pertanto il venir meno dell'uguaglianza sesso = procreazione, tutto ciò e altro ancora, che al momento ci sfugge, porta col tempo a fare delle valutazione secondo ragione le cui conclusioni propendono ad accettare che l'uso del profilattico è un bene. Conclusioni, queste, che tra cinquanta o cento anni, come le teorie scientifiche, possono cambiare o essere smentite.
La morale non è mai perfetta, può essere perfettibile, o perlomeno ce lo possiamo proporre.
Il Bene e il Male, come ogni altra produzione umana, non hanno un'identità definita. Proprio perché prodotti umani essi possono assumere differente senso. Non dobbiamo pensare che in un futuro non molto lontano non ci possa essere un Hitler o peggio. Un giorno ci potrà essere Hitler per lo stesso motivo per cui c'è già stato: chiunque può pensare e desiderare il contrario di chiunque.
Solo la consapevolezza di ciò può aiutarci ad essere vigili sugli eventi futuri.

8. A ciascuno il suo: la scienza non può parlare di morale

Una riflessione in chiusura. Se tutta la scienza si riduce al suo stesso metodo sperimentale rivelandosi nient'altro che una tecnica indirizzata a conquistare risultati per la soluzione di problemi materiali, è evidente che non si può fondare una morale su di essa. Una morale scientifica giustifica solo e soltanto i fini della scienza stessa e la sua potenza. Se il metodo sperimentale ci consente di clonare a iosa gli uomini non significa che noi dobbiamo sottostare acriticamente a questa straordinaria possibilità. La scienza ha il potere di fare ciò ed essa non può far altro che giustificare questo suo potere e i suoi fini. E' un'espressione della volontà di potenza. Se lo scienziato sottostà alla scienza non può che volere ciò che la scienza stessa esprime: la potenza della sua tecnica, del suo metodo.
Come si vede, la disciplina scientifica non conosce la morale, non le appartiene. Essa, come ogni altro aspetto della vita, condiziona certamente la morale, ma non fa morale perché non ha gli strumenti. Il suo strumento è il metodo sperimentale che ha come unico obbiettivo quello di risolvere problemi materiali.


Note:

1. L'apollineo e il dionisiaco come categorie della creazione artistica, tesi di laurea di Giovanni Schiava. Università degli Studi di Perugia, Facoltà di Lettere e Filosofia, Corso di Laurea in Filosofia, anno accademico 1998-1999, Relatore Professoressa Anna Giannatiempo. La tesi è pubblicata nel sito web www.tesioline.it. In questo lavoro, partendo dalla teoria estetica di Nietzsche, trasformo l'apollineo e il dionisiaco (vedi nota 2) da due istinti di vita, spiriti dell'esistenza, in due categorie mentali, in senso kantiano, utili a spiegare il processo creativo nell'arte.

2. L' ''apollineo'' e il ''dionisiaco'' sono i due aspetti fondanti dell'uomo che il filosofo tedesco F. Nietzsche ha presentato nella sua prima importante opera La nascita della tragedia (tr. it. di E. Ruta, Laterza, Bari 1995) scritta nel 1872. Apollo e Dioniso sono due divinità dell'antica Grecia. Apollo è il dio del sole, pertanto rappresenta la chiarezza, l'armonia, l'ordine, l'equilibrio e la razionalità. Al contrario, Dioniso è il dio del vino e rappresenta l'ebbrezza, la vitalità, l'istinto, il disordine e l'irrazionalità. L'apollineo è la dimensione razionale mentre il dionisiaco quella irrazionale: le due facce della medaglia-Uomo.

3. Prima della nascita della metafisica l'uomo greco non separava nettamente il mondo terreno da quello divino. Gli dei abitavano sulla terra, sul monte Olimpo, e l'inferno stava sotto terra, nel regno di Ade. L'idea di un mondo non sensibile non apparteneva al greco.

4. «Galileo stabilì i criteri che stanno alla base del cosiddetto ''metodo scientifico''. Esso si basa sul presupposto che ogni affermazione riguardante i fenomeni naturali deve avere un riscontro oggettivo sperimentale. E' solo attraverso gli esperimenti che le leggi della natura possono essere conosciute».
(Fonte: www.arrigoamadori.com/lezioni/Sintesi/TeoriaDellaRelativita.htm).
«L'esperimento è alla base del metodo scientifico introdotto da Galileo Galilei, che per questo motivo viene anche chiamato metodo sperimentale. Il metodo scientifico infatti si basa sui seguenti passaggi: 1) Raccolta delle informazioni; 2) Osservazione del fenomeno; 3) Scelta delle grandezze fisiche (arbitrarialmente); 4) Formulazione di ipotesi che spieghino il fenomeno; 5) Elaborazione di una teoria che spieghi il fenomeno, sulla base delle ipotesi, in maniera più ampia; 6) Realizzazione di esperimenti che validino o confutino la teoria. È sufficiente un solo esperimento che sia discordante con la teoria per invalidarla.». (Fonte: http://it.wikipedia.org/wiki/Esperimento)

5. «Per i grandi sistemi metafisici del secolo XVII, per Cartesio e il Malebranche, per lo Spinioza e il Leibniz la ragione» scrive E. Cassirer «è il territorio delle ''verità eterne'', di quelle verità che sono comuni allo spirito umano e a quello divino. Ciò che conosciamo e intuiamo in grazia della ragione ci conferma la partecipazione dell'essenza divina. [...] Gli Illuministi hanno fiducia nella ragione; e in questo sono eredi di Cartesio, di Spinosa o di Leibniz. Ma, diversamente dalla concezione di costoro la ragione degli illuministi è quella dell'empirista Locke che analizza le idee e le riduce all?esperienza. Si tratta, dunque, di una ragione limitata: limitata dall'esperienza, controllata dall'esperienza. La ragione degli Illuministi è la ragione che trova il suo paradigma nella fisica di Newton: questa non punta alle essenze, non si chiede che cos?è, per es., la causa o l'essenza della gravità, [...] cerca le leggi del loro funzionamento e le mette alla prova». (G. Reale, D. Antiseri, Il pensiero occidentale dalle origini ad oggi, La Scuola, Brescia 1992, vol. 2., pp. 502-503.)

6. G. Reale, D. Antiseri, Il pensiero occidentale dalle origini ad oggi, La Scuola, Brescia 1992, vol. 2., p. 656.

7. Ibidem, p. 656.

8. Mentre, ad avviso di Kant, il logos può dire sulla metafisica nella sfera morale: dalla necessità di un fondamento assoluto ed eterno per una legge universale di condotta si postula l'esistenza di Dio e dell'anima. Dio deve esistere se vogliamo un premio per la nostra condotta, un premio ovviamente per cui ne valga la pena assumere una condotta sempre retta, un premio eterno: il paradiso.

9. Ibidem, vol. 3, p. 170.

10. Ibidem, vol. 3, p. 170.

11. Se dovessimo leggere la storia della filosofia occidentale dal punto di vista della metafisica, potremmo individuare tre periodi: il periodo pre-metafisico, da Talete a Platone; il periodo metafisico, da Platone a Kant o estenderlo fino a Nietzsche, se è vero che, come lo definì Heidegger, fu l'ultimo dei metafisici; infine, il periodo post-metafisico, da Kant o Nietzsche ai giorni nostri.

12. Ibidem, vol. 3, p. 435.

13. Ibidem, vol. 3, p. 746.

14. Le conclusioni più attuali sembrano le seguenti : «La scienza procede con ipotesi e principi che non sono totalmente indotti a partire dall'esperienza, ma che, secondo l'espressione di Einstein, hanno piuttosto il carattere di ''libere creazioni del pensiero'', la cui validità può essere verificata solo in corrispondenza di sistemi di riferimento specifici. La conoscenza avanza quindi per approssimazioni che possono essere sostituite o modificate nel tempo, cogliendo di volta in volta congruenze relative tra dati di esperienza e forme di misurazione. (...) Il confronto col dato empirico non è quindi, in un campo come nell'altro, la semplice registrazione di un oggetto già formato, ma piuttosto il risultato del rapporto tra l'osservatore, con le sue categorie concettuali e i suoi strumenti di ricerca, e ciò che gli sta di fronte...» ( F. Crespi, Le vie della sociologia, il Mulino, Bologna 1985, pp. 65 e 67).


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