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APPROFONDIMENTI

La violenza del corpo politico nell’erotismo di Fernando di Leo

03/05/2017

Il boom economico portò un cambiamento nelle abitudini e i costumi di un'Italia che si voleva modernizzare in ogni ambito della vita sociale. Un Paese povero e contadino scopriva i piaceri di una vita più libera e ricca. Chi viaggiava trovava una diversa morale in altre nazioni europee e il comune senso del pudore diventò il nuovo campo di battaglia culturale. Nei suoi autori più originali, da Federico Fellini a Pier Paolo Pasolini, da Pietro Germi a Marco Ferreri, il cinema italiano degli anni Sessanta fu attraversato da un fermento di novità e una critica corrosiva ai valori tradizionali su cui era arroccata la società italiana, scorgendo nei temi della liberazione sessuale un grimaldello che scandalizzava la classe politica del tempo. Tanto più considerando la dimensione eminentemente pubblica, collettiva, che il cinema aveva, prima dell'avvento di tv commerciali, home video e internet, che hanno ridimensionato il film a visione privata.

Sul finire degli anni Sessanta, quello erotico diventò un vero e proprio genere in Italia, dapprima, appunto, legato ad ambizioni ideologiche, poi evidenziando aspetti sempre più voyeuristici, assecondando una fortuna commerciale dirompente. Finché il sesso, da tabù, diventò una vera ossessione. Gli anni Sessanta hanno visto avanzare una continua erotizzazione del cinema e della cultura italiana, trovando compimento negli anni Settanta, con lo sdoganamento del porno e di tutta una serie di commedie erotiche che promettevano le grazie della stellina di turno: una serialità che metteva in scena stereotipate fantasie maschili in forme di supplenti, infermiere, liceali, casalinghe annoiate o un discinto Medioevo, dove la trama del film era un pretesto per l'inserto erotico, consistente nello spogliarello delle dive di genere, quasi sempre esplicitamente spiate, in una moltiplicazione dell'effetto voyeuristico.

In questa temperie, nel suo primo film davvero personale, Brucia ragazzo brucia (1969), di Leo mette proprio l'erotismo al centro della scena, facendolo diventare un discorso dichiaratamente politico e apertamente progressista, antiborghese. Lo stesso sarà un filo conduttore, anche se non sempre esplicito, di tutto il suo cinema, spalancando una serie di contraddizioni interne alla persona e all'artista di Leo.

Nel suo cinema c'è una forte connessione tra erotismo e morte, che è sia una persistente denuncia della società politica del suo tempo sia la messa in scena di un'evidente ideologia personale, una visione complicata da una disturbante violenza contro le donne. L'analisi della filmografia di di Leo appare una specie di teatro cinematografico degli ultimi studi di Sigmund Freud, secondo cui l'istinto di morte, la passione di distruggere, sia parimente forte dell'istinto di vita, la sessualità. L'istinto di morte, se mescolato con la sessualità, si trasforma in sadismo (massicciamente presente nei film di di Leo), il desiderio di avere un potere illimitato sui corpi e le vite di altre persone. […]

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