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Eritrea e Somalia italiana

 Eritrea e Somalia italiana

L’insediamento italiano in Africa orientale iniziò nel 1869, lo stesso anno dell’apertura del Canale di Suez, con l’atto acquisto di una piccola stazione commerciale lungo la costa eritrea da parte di una compagnia commerciale di Genova. Nel 1882 questa “compagnia a Carta” entrò in bancarotta e il possedimento passò sotto l’amministrazione dello stato italiano; il 1882 può quindi rappresentare l’anno ufficiale di nascita del colonialismo italiano.
Tutt’attorno a questa piccola stazione commerciale venne creata una rete di interessi e postazioni che allargando via via l’occupazione culminò nella fondazione dell’Eritrea, la nostra prima colonia, ritagliata a spese di Turchia, Egitto ed Etiopia, in una situazione storicamente e giuridicamente mal determinata, senza particolari resistenze da parte delle autorità e delle popolazioni locali.
L’altra direttrice di penetrazione italiana era la zona del Corno, abitata da popolazioni di lingua somala e suddivisa fra autorità locali indigene, zone d’occupazione inglese, zona egiziana e turca. Non avendo quindi di fronte una podestà unitaria l’Italia procedette per gradi, territorio dopo territorio. Il tratto di costa che affacciava sul Mar Rosso era tenuto dalla Francia (Gibuti) e dalla g.b. (Somalia inglese); l’Italia occupò quello che dava sull’Oceano indiano. In un primo momento l’iniziativa fu portata avanti dalle compagnie commerciali; l’Italia come Stato assunse il controllo della Somalia solo nel 1905 e la proclamò colonia nel 1908, fissando la capitale a Mogadiscio.
Ma la vera ambizione di Roma rimaneva comunque l’Etiopia e, in questo senso, Eritrea e Somalia erano solo tappe d’avvicinamento ad Adis Abeba. In quel momento l’Etiopia era impegnata in ambiziosi progetti di riforma e consolidamento dello stato, con il Negus occupato a rafforzare la sua autorità sull’aristocrazie e sulle province periferiche dell’impero. L’Italia si mosse dapprima lateralmente, cercando di cooptare nella sua sfera d’influenza queste province periferiche, ma raccogliendo scarsi frutti da questa politica, si decise a prendere il toro per le corna, firmando con il negus Menelik II il celebre Trattato di Uccialli (2 maggio 1889), con il quale credeva di aver stabilito il suo protettorato sull’Etiopia, come si affettò a comunicare alle altre potenze europee. Solo che mentre Roma credeva questo, Menelik sosteneva di aver stipulato esclusivamente un alleanza di buon vicinato e ribadì la piena autonomia e indipendenza del suo paese rispetto all’Italia. Alla base dell’equivoco vi era l’ambiguità della traduzione dall’etiope all’italiano del testo del trattato, che per errore o per dolo, aveva prodotto questo fraintendimento che sarà successivamente citato in tutti i manuali di diritto dei trattati.
Successivamente l’esercito italiano sconfinò più volte in territorio etiope arrivando a scontrarsi con l’esercito del negus, fino a quando, il 1° maggio1896 presso la piana di Adua, una colonna italiana di 15 mila uomini, fu letteralmente sbaragliata dalle forze etiope, superiori in numero, provocando la morte di 4000 soldati italiani e circa un migliaio di ascari, ponendo fine ad ogni altro tentativo italiano di penetrazione in Abissinia fino al periodo fascista. Per alcuni anni in Italia nessuno volle più sentir parlare di avventure coloniali; Francesco Crispi fu costretto alle dimissioni. L’Italia riconobbe in un trattato la piena sovranità dell’Etiopia.

Tratto da AFRICA: LA STORIA RITROVATA di Lorenzo Possamai
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