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Principio di intenzionalità in antropologia

-Conoscersi senza riconoscersi, sono conflitti di intenzioni .
 L’intenzionalità è uno dei principali ingredienti di quella situazione che è la ricerca sul campo fondata su un rapporto  per molti versi di scambio fra un  rappresentante della cultura occidentale, l’antropologo e uno o più membri della cultura locale, l’informatore o gli informatori. L’anomalia della ricerca sul campo come pratica scientifica consiste nel fatto che le condizioni che la rendono plausibile, sono state avvertite come ostacoli . l’ideale antropologico prevede un essere presenti e partecipanti, un distacco controllato e professionale , una metodologia e una redazione dei risultati, ma questo porta allo scontro tra prassi oggettiva e interazioni soggettive = paradosso dell’osservazione partecipante.L’antropologo in quanto in cerca di alterità è predisposto a relativizzare i propri costumi per comprendere quelli dell’altro, rischia così di non sentirsi  più appartenente a nessuno dei 2 mondi.
LEVI –STRAUSS parla di disancoramento cronico l’antropologo non si sente più a casa in nessun luogo.
AUGE’usa la formula conoscere senza conoscersi per definire una sorta di principio al quale l’antropologo deve riferirsi per scansare i rischi dell’oggettivismo. È utile in oltre per mettere a fuoco molti degli aspetti della nozione di intenzionalità la quale evoca appunto strategie e livelli conoscitivi le une di negoziazione etnografica e gli altri di articolazione del sapere antropologico.
Il processo di costruzione del sapere antropologico infatti produce conoscenza, ma, in quanto si propone un tipo speciale di conoscenza, in particolare di accrescere la nostra conoscenza  dell’altro, implica anche una ricaduta più o meno forte in termini di riconoscimento. Questo perchè nell’operare un confronto, con l’alterità e nel trasformarla in differenza, l’antropologo non può fare a meno di riconoscersi  come tale e di ottenere questo riconoscimento anche da altri, pena la perdita dell’intenzionalità conoscitiva e dell’autorità alla base della sua impresa.
-pensiero teorico e pensiero indigeno.
LEVI – STRAUSS  nel suo libro “Il crudo e il cotto” dice : se il fine ultimo dell’antropologia è quello di contribuire ad una migliore conoscenza del pensiero oggettivo e di tutti i suoi meccanismi: dialettica riconoscimento/conoscenza  L’analisi penetra nell’oggetto stesso o l’oggetto stesso penetra nell’analisi, il pensiero teorico prende forma sul pensiero indigeno o il pensiero indigeno prende forma sul pensiero teorico; concezioni opposte dello studio della cultura, pur tuttavia presenti alla fatidica confluenza fra antropologi e nativi.
-desideri di conoscenza: dalla teoria alla pratica.
Es dialogo: da un lato troviamo il riconoscimento dall’altro l’espressione del desiderio di conoscenza dell’antropologo. L ’antropologo non rinuncia affatto al suo universo di riconoscimento, anzi, piuttosto sicuro di se, e del suo ruolo, garantisce la riuscita finale dell’impresa antropologica proprio attraverso il soddisfacimento del suo desiderio di conoscenza, “nonostante i nativi”. L’intenzionalità conoscitiva dell’antropologo, non ammette cedimenti e deve superando ogni difficoltà (di linguaggio, di visione del mondo) far si che a cedere siano piuttosto i nativi.
-osservare partecipando.

Tratto da ANTROPOLOGIA IN SETTE PAROLE CHIAVE di Selma Aslaoui
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