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Complicanze dopo trapianto cardiaco


Rigetto
È una delle prime cause di mortalità nel corso del primo anno dopo trapianto cardiaco. I fattori di rischio sono il sesso femminile del ricevente, l’incompatibiltà HLA, il sesso e la giovane età del donatore.
Il rigetto iperacuto si manifesta immediatamente dopo l’impianto e dipende dalla presenza di anticorpi preesistenti diretti contro antigeni HLA del donatore. Grazie ad una migliore selezione dei donatori è oggi un’evenienza rarissima. Anche ricorrendo a tecniche di assistenza circolatoira meccanica, tale situazione richiede quasi sempre un ritrapianto.
Il rigetto acuto si verifica, invece, durante i primi mesi dal trapianto con sintomatologia più o meno comclamata, anche in pazienti che abbiano seguito una rigorosa terapia immunosoppressiva. Quando presenti, i sintomi sono costituiti da malessere generale, tachicardia, febbre, nausea, vomito e, nei casi più gravi, segni clinici di scompenso. Si tratta di un’urgenza e la diagnosi deve, in ogni caso, essere confermata da un esame ecocardiografico e da una biopsia endomiocardica che permettono una valutazione dell’entità del rigetto, della disfunzione sistodiastolica dell’organo trapiantato, dall’aumentata massa miocardica (edema miocardico, infiltrato infiammatorio) e dall’eventuale presenza di un versamento pericardico.
In caso di un paziente in scadenti condizioni generali ed emodinamiche, e con segni clinici ed ecocardiografici compatibili con un episodio di rigetto acuto, è indicata una terapia antirigetto aggressiva, anche in assenza di una conferma istopatologica.
Il trattamento consiste nella somministrazione endovenosa di corticosteroidi ad alte dosi o, nei casi più gravi, di siero antilinfocitario o di OKT3.

Infezioni
Esiste una prima fase, della durata di un mese circa, in cui predominano infezioni nosocomiali da stafilococchi o Gram-negativi ed una seconda fase di 2-5 mesi caratterizzata da infezioni opportunistiche (CMV, Pneumocystis carinii). Il polmone è l’organo più comunemente interessato con una mortalità del 20-40%, seguito dalle setticemie, dalle infezioni delle vie urinarie e del tubo gastroenterico e da infezioni della ferita sternotmica.
Le infezioni da CMV sono le più frequenti e possono avere diffusione sistemica o essere localizzate ad un organo specifico. La diagnosi consiste nell’isolamento del virus ed il trattamento si basa sulla somministrazione endovenosa di ganciclovir. Il trapianto di organi CMV-positivi in riceventi CMV-negativi rappresenta un grave fattore di richio, mentre la condizione opposta presenta un rischio del 25-40% legato all’immunosoppressione. Altre infezioni meno comuni sono quelle da Pneumocystis carinii, la cui prevenzione si avvale del trimetoprim-sulfametossazolo, e la toxoplasmosi. L’incidenza di mediastinite è, infine, del 2-8% ed è lagata ad infezioni stafilococciche e streptococciche. Importanti misure preventive sono il lavaggio delle mani e l’utilizzo della mascherina, specie nei primi 15 giorni dal trapianto.

Insufficienza cardiaca destra
È più comune in presenza di resistenze arteriolari polmonari elevate (3-4 unità Wood) e viene trattata con farmaci vasodilatatori ad azione prevalente sul piccolo circolo, quali le prostaglandine e il monossido d’azoto. Ancora oggi, l’ipertensione polmonare con conseguente insufficienza ventricolare destra irreversibile è talvolta causa di mortalità dopo trapianto cardiaco.

Tratto da APPUNTI DI CARDIOCHIRURGIA di Alessandra Di Mauro
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