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Disfunzione diastolica


La disfunzione diastolica è spesso misconosciuta preoperatoriamente per la ridotta disponibiltà di parametri diagnostici.
Deve essere sospettata in caso di pregressi episodi di scompenso con funzione sistolica conservata. Ciò è frequente in caso di importante ipertrofia ventricolare sinistra, come ad esempio in presenza di una cardiopatia ipertensiva cronica.
Va inoltre ricercata quando appaiano segni di insufficienza cardiaca in pazienti tachicardici o tachiaritmici, oppure in caso di scarsa tolleranza ad una terapia inotropa positiva.
Il ridotto riempimento diastolico del ventricolo sinistro legato ad un’alterata distensibiltà è responsabile del quadro fisiopatologico. Tutte le condizioni in grado di alterare il riempimento ventricolare peggiorano la funzione diastolica. In tale senso è da ricordare che un aumento della frequenza cardiaca avviene a spese della durata della diastole e solo minimamente di quella della sistole; inoltre, la perdita della sistole atriale riduce il riempimento ventricolare telediastolico. Per questo motivo le tachiaritmie sopraventricolari sono particolarmente mal tollarate in pazienti con disfunzione diastolica, essendo le due condizioni sopra citate concomitanti.
Il trattamento dello scompenso imputabile prevalentemente a disfunzione diastolica differisce da quello legato ad alterazione della funzione sistolica per la scarsa tolleranza ai farmaci inotropi ad azione cronotropa positiva. È infatti importante il rallentamento della frequenza ventricolare mantenendo, se possibile, il ritmo sinusale, e un attento controllo del precarico con adeguati valori di riempimento, un ridotto impiego di diuretici e un utilizzo di vasodilatatori con azione sul distretto arterioso.

Tratto da APPUNTI DI CARDIOCHIRURGIA di Alessandra Di Mauro
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