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Pericardite costrittiva


Alcune pericarditi possono evolvere verso una vera e propria costrizione pericardica con conseguente grave disfunzione diastolica cronica. Si tratta di pericarditi tubercolari, neoplastiche, purulente, traumatiche, post-radioterapia, e, più raramente, post-cardiochirurgiche.
Lo stadio di pericardite costrittiva è conseguenza dell’infiammazione cronica della sierosa che porta alla formazione di uno spesso guscio fibroso, frequentemente calcifico. Ciò provoca una riduzione della distensibilità ventricolare e un diminuito ritorno venoso che si traduce clinicamente in segni di insufficienza ventricolare destra. Le calcificazioni pericardiche sono talora visibili alla radiografia del torace, soprattutto in proiezione laterolaterale.
La diagnosi viene posta con l’ecocardiografia, che mostra un ispessimento del pericardio, e con il cateterismo destro che evidenzia un’adiastolia con aspetto di plateau della curva pressoria del ventricolo destro e uguaglianza della pressione diastolica dalla vena cava fino alla pressione capillare polmonare.
La decorticazione pericardica è pertanto indicata per rimuovere la costrizione. Viene effettuata per via sternotomica senza CEC. Consiste in una resezione il più possibile completa del pericardio il cui foglietto viscerale risulta intimamente adeso all’epicardio e deve essere asportato per evitare recidive. La dissezione chirurgica deve essere condotta fino alle vene cave liberando gli sbocchi in atrio destro e migliorando in tal modo il riempimento.
La mortalità è superiore al 5% soprattutto a causa della disfunzione miocardica sottostante.

Tratto da APPUNTI DI CARDIOCHIRURGIA di Alessandra Di Mauro
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