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Il cristo portacroce di Leningrado - Sebastaino del Piombo -

Il cristo portacroce di Leningrado - Sebastaino del Piombo -


Il Cristo portacroce di Leningrado e la Pietà di Ubeda.
Nella Pietà di Viterbo la luce lunare, che filtra attraverso le nuvole, accende di freddi bagliori le masse livide del Cristo disteso e il gesto doloroso della Madonna, bloccandoli entro i contorni netti dei volumi. Il paesaggio è solo uno sfondo lontano e fantomatico, né vi appaiono altri personaggi o particolari che allietino il dramma concentrato nelle due figure impietrite in primo piano. Forse è questa l’opera in cui Sebastiano ha avvertito più intensamente il tema sacro e lo ha reso con più dolorosa partecipazione. Ciò sembra l’esito di una profonda lacerazione: quella di conciliare le esigenze impostegli dalla carica del Piombo, funzionario di Chiesa, con l’esempio che gli veniva da Michelangelo. Nessuno degli artisti del tempo si trovò implicato così da vicino nei contrasti di quegli anni, trovandosi contemporaneamente dalla parte dell’ortodossia più stretta e della riforma cattolica. Vi si avverte anche l’intento di semplificare le forme, di ridurre gli elementi accessori all’essenziale, anticipando così alcuni aspetti dell’austerità della Controriforma. Ma la sua arte non arriverà mai al conformismo, esprimerà sempre una sofferta spiritualità.
Con lui la forma di Michelangelo, semplificata in blocchi cubici come avverrà nelle opere di Daniele da Volterra, si accingerà a divenire la più adatta al nuovo orientamento del tempo.
Il passaggio, nell’arte di Sebastiano, dalla visione tradizionale alla semplificazione cubizzante derivata da Michelangelo è evidente se si confronta la Flagellazione di San Pietro a Montorio




Tratto da ARTE MODERNA di Gabriella Galbiati
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