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LE LINEE GUIDA


Nel ‘75 vengono stabilite nella dichiarazione di Tokio le Linee guida per medici sulla tortura e altri trattamenti crudeli inumani o degradanti verso persone detenute o prigioniere. Nel ‘96 il Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa adotta la Convenzione sui diritti dell'uomo e la biomedicina e sancisce il valore della ricerca come mezzo necessario per la lotta alla malattia, lecito, dunque, in quanto costituisce un servizio per l'uomo. Si richiede perciò il rispetto della vita e dell'integrità sostanziale e si raccomanda che la fase pre-clinica venga condotta con accuratezza e con il minimo rischio nonché con il consenso delle persone coinvolte. Questo per evitare che il corpo e con esso la dignità del paziente siano completamente sottomessi al potere della scienza.

Con il processo di Norimberga il principio che si afferma è che l'accettazione delle cure o delle sperimentazioni sul corpo non possano essere effettuate senza il cosiddetto consenso informato, ovvero senza che il medico comunichi al paziente ogni fatto necessario a formare la base di un intelligente consenso al trattamento proposto, tale principio è sancito dalla Corte Suprema tedesca. Tale arriva in America con 20 anni di ritardo e con lo stesso ritardo viene percepito in Italia dove predomina la formula del Pretesto Terapeutico a cui il medico fa spesso ricorso.

Linee di buona pratica clinica per l'esecuzione delle sperimentazioni cliniche dei medicinali vengono stilate dalla Comunità Europea e recepite dall'Italia nel luglio ‘97.

Se analizziamo concretamente in quali classi sociali vengono reclutati i soggetti che accettano di partecipare agli studi sperimentali ci rendiamo conto che appartengono generalmente alle classi meno abbienti. Hans Jonas ci suggerisce un criterio di reclutamento dei volontari sani che definisce “scala discendente di ammissibilità”.

Egli ritiene che gli elementi dell'organismo sociale più preziosi e scarsi, più difficilmente sostituibili, devono essere i primi candidati al rischio e al sacrificio, è lo standard del noblesse oblige, rispettarlo esige dalla comunità scientifica che essa combatta la forte tentazione di limitarsi per comodità di routine alla fonte più facilmente utilizzabile “i prigionieri in vari sensi”.

La tesi quasi universalmente accettata nel corso della storia è quella della liceità o bontà intrinseca della sperimentazione regolata. Il modello di giustificazione della ricerca è di tipo utilitaristico e cioè fa riferimento alle conseguenze positive che essa produce e all'utilità per il maggior numero di persone che coinvolge. Jonas critica aspramente la tesi utilitaristica sostenendo la difficoltà di un'adeguata previsione dei risultati della ricerca sperimentale: la ricerca può essere giustificata solamente se si instaura una giusta identificazione della causa, sia da parte del ricercatore che da quella del paziente, di modo che la partecipazione allo studio sia non solo permessa ma anche fortemente voluta. Detto ciò, negli ultimi anni si è però creato un gap notevole fra i principi dichiarati dall'etica e la pratica quotidiana: all'autonomia si è sostituita una forma di paternalismo da parte del medico e al principio di beneficenza quello di convenienza. Il valore tende ad essere ridotto a una sola dimensione e cioè quella della valorizzazione del capitale, del profitto per le multinazionali del farmaco, della sua traduzione in denaro. La contraddizione nasce perché il mondo della scienza e della cultura della scienza che si autoregolavano attraverso meccanismi vari, complicati e differenti, tendono ad essere regolati ad oggi da un'unica legge: il mercato.

Tratto da BIOETICA E MASS MEDIA di Marianna Tesoriero
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