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La sequenza del cromosoma e la diversità

Le cellule procariotiche posseggono un'unica copia completa del/dei cromosoma/i che è organizzato in una struttura chiamata nucleoide. Inoltre i microorganismi frequentemente possono possedere anche uno o più DNA circolari di piccole dimensioni indipendenti chiamati plasmidi. A differenza del DNA cromosomico, i plasmidi non sono normalmente essenziali per la crescita batterica. Normalmente essi portano geni che conferiscono determinate caratteristiche al batterio, come ad esempio la resistenza ad un antibiotico. 

La maggior parte delle cellule eucariotiche, invece, è diploide, il che vuol dire che contengono due copie di ciascun cromosoma: i cromosomi omologhi. Ogni copia deriva da ciascun genitore. Ma non tutte le cellule negli organismi eucariotici sono diploidi. Una certa quantità di cellule possono essere aploidi o poliploidi. Le cellule aploidi contengono un'unica copia per ciascun cromosoma e sono coinvolte nella riproduzione sessuale (per esempio le uova e gli spermatozoi). Le cellule poliploidi contengono, invece, più di due copie di ogni cromosoma e questo permette la sintesi di una grande quantità di RNA, quindi di proteine. Comunque, la grandezza del genoma (la lunghezza del DNA in un assetto cromosomico aploide) varia sostanzialmente nei diversi organismi modello. Poiché sono necessari un numero molto elevato di geni per dirigere la formazioni di organismi sempre più complessi, non è sorprendente che la grandezza del genoma sia strettamente correlata con la complessità dell'organismo. Quindi avremo che le cellule procariotiche hanno un genoma inferiore alle 10 Mb mentre per gli eucarioti potremmo arrivare alle 100000 Mb. Sebbene vi sia una certa correlazione fra la grandezza del genoma e la complessità dell'organismo ciò non è sempre vero, basti pensare che il genoma del riso è circa 40 volte più piccolo di quello del grano. Queste differenze sono correlate con la densità genica. Una semplice misura della densità genica è la quantità di geni contenuti in una megabase di DNA genomico. Per cui se un organismo contiene 5000 geni ed un genoma di 50 Mb, la densità genica presente in questo organismo è di 100 geni/Mb. Esiste una correlazione inversa fra la complessità dell'organismo e la densità genica; gli organismi meno complessi hanno una più alta densità genica. Per esempio, le densità geniche più alte si riscontrano nei virus che utilizzano addirittura entrambi i filamenti del DNA per codificare geni che in alcuni casi possono essere sovrapposti. Mentre, fra gli eucarioti, c'è una tendenza generale per cui la densità genica diminuisce con l'aumentare della complessità dell'organismo.
Esistono due fattori che contribuiscono alla diminuzione della densità genica osservate nelle cellule eucariotiche: l'aumento delle dimensioni dei geni e l'aumento della quantità di DNA esistente fra i geni, ovvero le sequenze intergeniche. I geni sono più lunghi sostanzialmente per due ragioni. Primo, visto il progressivo aumento della complessità degli organismi si verifica un necessario e significativo aumento delle regioni di DNA utilizzate per dirigere e regolare la trascrizione, chiamate sequenze regolative. Secondo, i geni, negli eucarioti, frequentemente sono costituiti da regioni discontinue. Le regioni non codificanti, intersperse all'interno delle sequenze codificanti, chiamate introni, sono rimosse dall'RNA dopo la trascrizione con un processo chiamato splicing dell'RNA. Si è visto, infatti, che la grandezza media di un gene umano è di circa 27 kb mentre la dimensione media di una sequenza codificante (esoni) per una proteina è di circa 1,3 kb. Un semplice calcolo rileva che soltanto i 5% del DNA di un gene è rappresentativo della parte codificante la proteina, il rimanente 95% è fatto da introni. Quindi, come ben si può capire, il considerevole aumento della quantità delle sequenze intergeniche negli organismi più complessi è responsabile della diminuzione della densità genica. Più del 60% del genoma umano è formato da sequenze intergeniche e la maggior parte di questo DNA non ha funzioni conosciute. Vi sono due tipi di DNA intergenici: sequenze uniche e sequenze ripetute. Circa un quarto del DNA intergenico è a sequenza unica. Queste regioni comprendono molti relitti apparentemente non funzionali e includono geni mutati, frammenti di geni e pseudogeni. Mentre quasi la metà del genoma umano è composto di sequenze di DNA che sono ripetute molte volte. Ci sono generalmente due classi di DNA ripetuto: DNA microsatellite e DNA altamente ripetuto. Il DNA microsatellite è formato da sequenze molto corte (meno di 13 paia di basi) ripetute in tandem. Le sequenze altamente ripetute, invece, sono molto più grandi rispetto ai microsatelliti. Ciascuna unità di ripetizione è maggiore di 100 paia di basi e in molti casi anche più grande di 1 kb. Inoltre, nei casi più comuni essi formano elementi trasponibili. Questi sono sequenze che possono spostarsi da una parte all'altra del genoma e a volte, lasciare una propria copia nel punto precedente, in modo tale da accumularsi e moltiplicarsi nel genoma. Comunque, sebbene si tende a considerare il DNA ripetuto come un DNA di scarto, il mantenimento nel tempo di queste sequenze per centinaia o migliaia di generazioni suggerisce che il DNA intergenico ha un significato positivo (o conferisce un vantaggio selettivo) per l'organismo ospite. In ogni cromosoma troviamo molte di queste sequenze ripetute. Ad esempio nel centromero troviamo sequenze ripetute fondamentali per l'attacco al fuso mitotico durante la mitosi, come anche nel telomero (TTAGGG), dove queste regioni proteggono le estremità dei cromosomi dalla degradazione.

Tratto da BIOLOGIA MOLECOLARE di Domenico Azarnia Tehran
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