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La "neoliberalizzazione circoscritta" della Svezia

Socialdemocratica dagli anni '30, la Svezia presentava rapporti di forza tra le classi incentrati su una forte struttura sindacale centralizzata. Il welfare si articolava intorno a ideali di socialismo ridistributivo, con tassazione progressiva. La Svezia non aveva nazionalizzato i suoi colossi e l'economia si basava sulle PMI. Negli anni '60 le proteste e i movimenti dei lavoratori posero un freno al potere del capitale, ma da metà degli anni '70 la Federazione svedese dei datori di lavoro aumento il numero dei suoi membri, ma neanche quando andò al governo il partito conservatore di centrodestra (1976) si riuscì a superare il potere dei sindacati. I datori di lavoro però avviarono una campagna propagandistica diffusa attraverso media e think tanks per provare che il welfare state era la causa della stagnazione economica. Il vero passaggio al neoliberismo però avvenne nel '91 con l'elezione del governo conservatore, che portò alla deregolamentazione bancaria e ai tagli fiscali per i più ricchi. Tuttavia il crollo della bolla speculativa dei prezzi delle proprietà che seguì all'aumento del costo del petrolio nel '91 provocò una fuga di capitali e innescò una grave depressione. La risposta fu l'adesione all'UE, che costrinse di fatto la Svezia ad adottare riforme in senso neoliberista. Tuttavia le disuguaglianze aumentarono senza arrivare ai livelli degli USA, il tasso di povertà è rimasto basso e il welfare elevato. La Svezia è il caso di una "neoliberalizzazione circoscritta".

Tratto da BREVE STORIA DEL NEOLIBERISMO di Giulia Dakli
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