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L'ossessione carnale in M. Butterfly


Secondo Cronenberg la sessualità è sempre un'invenzione, un atto creativo dell'immaginazione e della volontà, e allora per descrivere l'azione di Song può valere quanto Baudrillard scrive a proposito dei travestiti: tutto in loro è trucco, teatro, seduzione. Sembrano ossessionati dai giochi del sesso, ma prima di tutto lo sono dal gioco, e se la loro vita sembra investita dal sesso più della nostra è perché fanno del sesso un gioco totale, gestuale, sensuale, rituale, un'invocazione esaltata ma ironica. Il paradosso della seduzione secondo Baudrillard risiede nell'incertezza della femminilità, nella reversibilità dei segni: l'identità instabile del travestito diviene allora quasi un paradigma in virtù della fluttuazione sessuale sempre implicata nel crossdressing. La seduzione di Song può essere ricondotta a tale paradigma nella misura in cui si tiene conto della sua vocazione performativa, della sua dimestichezza con le arti della scena, che implicano il continuo ricorso al trucco e l'insistente richiamo al teatro. La finzione al quadrato del personaggio passa, dunque, attraverso il palco e il corpo. A tutto questo si aggiunge poi il gioco di provocazioni, inganni e depistaggi che contribuisce ad amplificare la fantasticheria amorosa di Gallimard, senza però tradursi in iperbolico investimento sessuale.
Una sessualità diversa.
Quel che viene meno, rispetto allo schema di Baudrillard, è proprio l'ossessione carnale, lo scatenamento incontrollato dei sensi. Il rapporto fra René e Song si consuma nella paziente reciprocità fra maestro e allievo, e infatti il diplomatico, nel primo corpo a corpo con l'amata le sussurra propositi di insegnamento. La remissività erotica di Song è funzionale al mantenimento del suo segreto, e si traduce nella voluttà di un apprendistato decisamente non convenzionale, tanto più che in un altro frangente del film lo stesso Gallimard ammette che la mia schiava ha così tanto da insegnarmi. L'itinerario erotico – emozionale descritto nel film procede attraverso la rimozione della fisicità dal perimetro dello schermo: la macchina da presa non invade lo spazio del desiderio, piuttosto si ritrae, costringendo i due amanti a muoversi in luoghi chiusi, claustrofobici. Tale rinuncia allo spettacolo della carne stupisce in un regista come Cronenberg ma è spiegabile facilmente: qui è la vibrazione interiore del desiderio ad essere raccontata, la nudità resta fuori campo. Il corpo di Song è un oscuro oggetto di seduzione, non si mostra se non fasciato da abiti bianchi che nulla lasciano trasparire. Lo sguardo di Renè non può penetrare l'intimità dell'amata e quando i suoi occhi percepiscono la voragine in cui è precipitato, è ormai troppo tardi. Ma in fondo era Gallimard, e non Song, ad avere recitato (seppure con sé stesso) e il colloquio nel cellulare della polizia lo rivela chiaramente.

Tratto da CINEMA E TEATRO TRA REALTÀ E FINZIONE di Gherardo Fabretti
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